“Benzina, i prezzi tornano a salire. Sfiorati i 2,8 euro sulla A21”. Così sabato 26 agosto ha titolato il Corriere della Sera. Evidenziando la rilevazione di un prezzo medio della benzina in autostrada salito da € 2,019 a € 2,020. Sì, avete letto bene, 1 (dico uno) millesimo. Da ridere, se non ci fosse da piangere.
Questa è sola la punta dell’iceberg di un polverone mediatico sollevato da media ed opposizione per un fine, peraltro legittimo ci mancherebbe, di lotta politica. Basta dirlo, però.
Noi preferiamo l’evidenza dei dati non un tanto al chilo e ci rifacciamo alla rilevazione del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) che puntualmente ogni martedì alle 12 aggiorna il sito e pubblica i prezzi medi di benzina e gasolio nell’ultima settimana. In quella conclusa lunedì 21, il prezzo è stato rispettivamente pari a €/litro 1,95 e 1,84 per benzina e gasolio. In impercettibile aumento rispetto alla settimana precedente.
Sembra essersi quindi arrestata la sequenza di aumenti cominciata ad inizio luglio, che è arrivata dopo qualche settimana di relativa stabilità dei prezzi sui minimi dell’anno, tra maggio e giugno. Osservando per brevità solo il gasolio, un aumento di circa 19 centesimi (Iva inclusa) rispetto ai minimi di metà maggio, che non hanno certo fatto piacere agli automobilisti in movimento lungo la penisola.
Nei primi dieci giorni di agosto, si sono sprecati titoli allarmistici del tipo “Benzina, il record italiano” e si è tornati a parlare di riduzione delle accise (per il gasolio pari a 0,617 €/litro più IVA), sull’esempio di quanto fece il governo Draghi il 22 marzo 2022.
Invece i dati conducono a conclusioni diverse e rivelano un evidente doppiopesismo nella loro analisi ed interpretazione che ha poi scatenato un ingiustificato clamore mediatico.
Com’è facilmente osservabile nel grafico, l’attuale prezzo del gasolio a 1,84 – parliamo di self service ovviamente, tralasciando le macchiettistiche rilevazioni fatte presso qualche distributore in modalità “servito” dove non si ferma nessuno – è di gran lunga inferiore a quello registrato per quasi tutta l’estate 2022, quando addirittura, nonostante la riduzione delle accise, stazionò oltre i 2 €/litro tra metà giugno e metà luglio. Solo ad agosto riuscì ad oscillare tra 1,75 e 1,85. Tale prezzo è inoltre identico a quello registrato a fine marzo 2022, dopo la riduzione delle accise operate da Draghi. Evidentemente quel governo ritenne accettabile per gli italiani quel livello di prezzo e non tagliò ulteriormente le accise di circa 5 centesimi ancora disponibili prima di raggiungere il livello minimo richiesto dalla UE.
Infine, 1,84 € al litro è un prezzo inferiore a quello registrato in quasi tutto il primo bimestre di quest’anno.
Pertanto, ci chiediamo dove fossero allora tutte queste prefiche piangenti, pronte a strapparsi le vesti per 19 centesimi di aumento in poche settimane quest’estate, ma dimentiche del fatto che quest’aumento arriva dopo una significativa discesa del prezzo del gasolio dai massimi di 1,91 a fine gennaio ai minimi di 1,65 a metà maggio. In definitiva siamo ancora 7 centesimi sotto i massimi dell’anno.
Ma – al netto dello strumentale allarmismo – quali sono le cause di queste oscillazioni? E il governo Meloni avrebbe potuto o potrebbe ancora fare qualcosa per ridurre l’impatto di questi ultimi rialzi? Le due risposte sono collegate. Bisogna partire dall’andamento del prezzo (a termine) del petrolio greggio Brent che, tra maggio e giugno, è rimasto stabile intorno a 75 dollari al barile, ben al di sotto dei massimi fatti segnare più volte nel primo quadrimestre tra 85 e 88 dollari. Da inizio luglio è cominciata una salita che ha riportato quel prezzo di nuovo al massimo di 88 $ il 10 agosto, per poi recuperare a 84 $ della chiusura di venerdì 25. Di conseguenza, pur essendo i mercati dei prodotti raffinati diversi e non sempre perfettamente correlati rispetto a quello del greggio, dopo poche settimane il prezzo industriale del gasolio è aumentato, sempre rispetto ai minimi di maggio, di circa 15 centesimi che, al lordo di Iva, diventano i 19 centesimi di aumento del prezzo alla pompa da cui siamo partiti.
E qui sarebbe dovuta arrivare in soccorso una norma varata con la legge finanziaria del 2008, poi riformata con il decreto legge “Trasparenza” dal governo Meloni a gennaio scorso.
In sostanza, basterebbe un decreto ministeriale per ridurre le accise al fine di “compensare le maggiori entrate dell’IVA derivanti dalle variazioni del prezzo internazionale, espresso in euro, del petrolio greggio”. A questo proposito, proprio nel Documento di economia e finanza (Def) di aprile si spiega che “la riduzione delle accise, oltre a essere una misura generalizzata e regressiva da un punto di vista distributivo, tende a provocare distorsioni sia in termini di prezzi relativi dei combustibili fossili, sia in termini di incentivi verso comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale. Nell’eventualità di un nuovo rincaro dei carburanti, il decreto ‘Trasparenza’ ha, in ogni caso, semplificato il meccanismo secondo cui il MEF e il MASE possono provvedere con decreto interministeriale a ridurre le accise sui carburanti per compensare il maggior gettito IVA derivante dall’aumento inatteso del prezzo internazionale del petrolio”.
Quella norma obbliga il governo ad intervenire quando la media dell’ultimo bimestre del prezzo del Brent è superiore a quella indicata nel Def (82,3 $ nel nostro caso, tralasciando per semplicità l’effetto cambio), sempre che la media dell’ultimo quadrimestre non sia inferiore a 82,3 $.
Andando a guardare il prezzo del Brent, osserviamo che nell’ultimo bimestre la media è stata di 84,6 $ e quindi avrebbe consentito un decreto di (modesta) riduzione delle accise, ma la media dell’ultimo quadrimestre è pari a 79,3 $, proprio per l’andamento del mercato prima illustrato, e quindi inferiore alla soglia indicata dal Def a 82,3 $, per cui non è stato possibile ridurre alcunché. O meglio, il governo avrebbe sempre avuto la facoltà di tagliare le accise, ma agendo in deficit e non restituendo semplicemente la maggiore IVA incassata. Ma questa è tutt’altra vicenda.
Prima del decreto “Trasparenza” era necessario anche un incremento minimo del 2%, soglia cancellata dalla nuova procedura semplificata, ma oggi non ci sono comunque i numeri per intervenire. Allo stesso modo, non ha granché senso confrontare il gettito delle accise sui prodotti energetici (aumentato semestre su semestre da 9,1 a 11 miliardi), perché prima di tutto è influenzato anche dai volumi e dai tagli del 2022 e poi è parzialmente compensato dalla minore IVA incassata sulle importazioni di idrocarburi che poi si scarica a valle fino al consumatore finale.
Questa è l’evidenza dei dati che però vanno confrontati tutti e correttamente, possibilmente in prospettiva, evitando di usare il microscopio quando invece servirebbe un grandangolo.