I sondaggi di questi ultimi giorni non sembrano preoccupare il mercato. Segreti per l’opinione pubblica, non lo sono però per i loro committenti, ossia i partiti e le grandi imprese, anche finanziarie. E quello che filtra dalle segrete stanze sembra confermare il trend delle ultime rilevazioni pubbliche, ossia un sostanziale vantaggio del Centrodestra come coalizione, ma che non la porterebbe a raggiungere la quota (un po’ sopra il 40%), che per effetto del meccanismo misto (un terzo dei seggi saranno assegnati con il metodo maggioritario) potrebbe dare a Forza Italia, Lega, Fd’I e centristi, la maggioranza assoluta dei seggi. I 5 Stelle si confermerebbero primi come singolo partito, ma ben al di sotto del 30%. Il Pd starebbe sotto la soglia psicologica del 25%, risultato ottenuto nel 2013 da Pierluigi Bersani ma comunque sopra il 20%, che salirebbe ulteriormente (senza però superare i 5 Stelle) con il contributo delle altre liste collegate. Il problema, però, è che sembrerebbe confermata anche la tendenza già riscontrata dai sondaggi delle settimane scorse (quelli pubblici), quella che vede i 5 Stelle in grado di superare a Forza Italia in diversi collegi uninominali del Sud ancora in bilico, (quindi non solo in Sardegna dove i grillini da tempo sono dati in grande vantaggio).
Questa, però, è proprio la prospettiva che dovrebbe piacere di meno al mercato, perché rischierebbe di allontanare ogni ipotesi di governissimo basato su un asse forte tra Pd e Forza Italia, ossia ciò che ufficialmente tutti negano ma che in tanti, soprattutto nel mondo della finanza auspicano. Il fatto è che nella suddivisione dei collegi nel centrodestra, la Lega prevale nettamente in quelli del Nord, su cui la vittoria è pressoché certa, mentre Forza Italia è preponderante al Sud, ma su una parte di questi seggi le fossero portate via dai 5 stelle i numeri della Grande coalizione potrebbero essere a rischio.

Eppure, come detto, i mercati sono tranquilli. Ieri, per esempio, gli economisti di Nomura hanno ribadito in un report la loro fiducia nel Governissimo. «Pensiamo ancora che le elezioni italiane porteranno, dopo diverse settimane di trattative, alla formazione di un governo di larghe intese tra partiti di centro-sinistra e di centro-destra», affermano Andrew Cates e Chiara Zangarelli, sottolineando che questo dovrebbe portare a un allentamento della politica fiscale, dal momento che tutti questi partiti propongono un taglio delle tasse e un aumento della spesa pubblica.
Certo questo comporterebbe che i problemi macroeconomici di lunga data («debole crescita 
Del resto, osservatori interessati come gli analisti di Deutsche Bank, nei giorni scorsi hanno sottolineato che se dal voto dovesse nascere un governo di breve durata, un rapido ritorno alle urne, «nonostante l’iniziale momento di incertezza», potrebbe addirittura «essere positivo», a patto che «gli elettori si allontanino dalle posizioni più estreme sostenute nelle precedenti elezioni, così come è successo quando gli spagnoli sono tornati alle urne nel 2016». Mentre Peter Praet, membro del comitato esecutivo e capo economista della Bce, ha dichiarato recentemente che, anche in caso di shock sul fronte dei tassi d’interesse, il debito pubblico italiano «è relativamente sostenibile e insensibile perché la sua durata è abbastanza lunga». La scadenza media del debito italiano è infatti salita da meno di quattro anni nel periodo precedente l’introduzione dell’euro (1990-1998) a 6,9 anni nel 2017. «Finché i tassi di mercato aumenteranno solo gradualmente», ha osservato, Marchel Alexandrovich, economista di Jefferies, «l’Italia continuerà a emettere debito a tassi di interesse più bassi rispetto al tasso di interesse al quale viene riscattato. L’incidenza degli interessi sul debito sul prodotto interno lordo continuerà a diminuire ancora per diversi anni».






