Le conclusioni degli interventi di Stefano Tresca, Managing partner di ISeed e Paolo Galvani, presidente di MoneyFarm, due realtà attive nel settore Fintech, intervenuti in commissione Finanze alla Camera nell’ambito del ciclo di indagini conoscitive
Fintech è una “rivoluzione culturale” con il “cuore” in uno smartphone. Ma nonostante l’Italia parta dietro rispetto ad altri paesi non è ancora tardi per trovare spazio nel settore. Sono queste in sintesi le conclusioni degli interventi di Stefano Tresca, Managing partner di ISeed e Paolo Galvani, presidente di MoneyFarm, due realtà attive del Fintech, intervenuti in commissione Finanze alla Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle tematiche relative all’impatto della tecnologia finanziaria sul settore finanziario, creditizio e assicurativo.
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Consob e Bankitalia: concedano licenze temporanee per avviare attività fintech
Tresca ha tracciato un parallelo tra Italia e Gran Bretagna, paese dove è localizzata l’azienda ISeed: “Ci sono tre livelli di intervento: lo Stato, gli investitori e gli imprenditori. La prima cosa che ha fatto la Gran Bretagna è stato posizionarsi. Hanno capito di non essere la Silicon Valley e di dover puntare su ciò in cui erano già forti e cioè la Borsa, specializzandosi in sostanza su alcuni settori. Lo stesso può essere fatto in Italia che, ad esempio, ha eccellenti risorse umane – ha sottolineato Tresca –. In questo ambito un punto importante riguarda il regolatore: tutti gli imprenditori parlano, infatti, di Consob e Bankitalia e di licenze temporanee per partire con la propria attività. Il secondo punto cardine sono gli investitori. In Gran Bretagna è stata data piena autonomia di investire nelle start up. Chi impegna fino a 150 mila sterline recupera il 70 per cento dalle tasse, oltre le 500 mila sterline il 30-40 per cento. Chi investe, in sostanza, non genera solo liquidità ma diventa un ‘evangelista’ generando con piccole cifre un mondo che non esisteva e diventando una sorta di venditore gratuito che fa pubblicità” al prodotto. Il terzo punto, infine, riguarda gli imprenditori: “Nella maggior parte del Fintech che ha un’età media maggiore delle start up, gran parte del denaro arriva dal B2B. Il Fintech può generare quindi lavoro di qualità e indotto”.
Fintech: una grande opportunità (da non perdere)
“Per dare una breve definizione al Fintech il modo migliore è quello di ‘inseguire i soldi’ – ha spiegato il presidente di MoneyFarm –. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’enorme massa di investimenti in nuove iniziative soprattutto in quelle che ripensano il settore finanziario. Per questo possiamo dire che sul Fintech non esiste una definizione pre
cisa ma più che altro semplificazioni. Perché di fatto quello che sta avvedendo è un cambiamento di modelli nel rapporto tra domanda e offerta di servizi finanziari. Da un lato ci sono persone che cercano soluzioni dirette, semplici e a basso costo, accessibili in ogni momento. Dall’altro la tecnologia che ha permesso a un gran numero di persone di portare nuove iniziative in un settore chiuso che aveva bisogno di economie di scala. Si sono affacciati in sostanza un grosso numero di attori in un settore chiuso. E questo è stato un elemento fondamentale con una domanda che cercava accesso diretto, veloce, immediato e trasparente e un’offerta che in questo modo si è ampliata tantissimo”. Galvani ha quindi raccontato l’esperienza della sua azienda che aiuta a “gestire e preservare” i risparmi con un occhio al digitale.
“Chiunque può con un sito web o un cellulare, definire il proprio profilo di rischio e trovare associata una soluzione di investimenti con strumenti finanziari a basso costo che poi vengono ribilanciati nel tempo. La tecnologia ci ha permesso di costruire questo modello in maniera indipendente e di creare un’offerta di consulenza e non sulla vendita del prodotto finanziario. Si tratta di una rivoluzione importante perché uno dei grandi problemi del settore finanziario è sempre stato il conflitto di interessi tra chi cerca consiglio per investire e chi deve vendere un prodotto. Riuscire attraverso la tecnologia a costruire un modello in cui il cliente paga una consulenza a prescindere dal prodotto continuando a fruire dei servizi oppure chiudere i rapporti riavendo indietro i soldi”, è fondamentale.
Risparmi oltre il 50% con tecnologia
Per esempio, ha rimarcato Galvani, i servizi offerti dalla MoneyFarm “sono fruibili indipendentemente dall’ammontare investito” e basati su un modello ibrido fondato su “un’infrastruttura tecnologica con alle spalle un team di persone che supporta i clienti a richiesta. In questo modo i costi sono in media il 50% in meno se non più di un servizio tradizionale analogo. Si tratta di un risparmio significativo che a volte non viene percepito dai clienti anche se quello è più un problema di trasparenza dei servizi finanziari”. Per questo però le differenze tra Italia e Gran Bretagna sono notevoli: “Abbiamo iniziato qui ma poi ci siamo trasferiti in Inghilterra per tre motivi: la ricerca di investitori in capitale di rischio per sviluppare l’azienda che in Italia sono rarissimi se non inesistenti è stato il primo. Il secondo ha riguardato il tema super delicato dell’accesso ai talenti: le cose stanno lentamente cambiando ma se cresci forte e hai bisogno di competenze la Gran Bretagna è molto più avanti. Il terzo elemento è l’ecosistema: dal momento in cui ci siamo spostati abbiamo ricevuto una serie di attenzioni sinergiche da parte di Ambasciata, Comune e così via, tali da infonderci una senso di sicurezza e aiuto”.
Dobbiamo allinearci agli standard europei

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