Italia al lavoro ad un decereto legge sulla disciplina e promozione dell’impresa culturale e creativa. E’ tempo che il Bel Paese investa (seriamente) nel settore
Del tema cultura abbiamo fatto sempre sfoggio: siamo portatori di un grande e sterminato patrimonio. Per continuare a produrre cultura, però, serve investire. Tempo e denaro. E’ ora che l’Italia pensi a delle agevolazioni per gli addetti ai lavori. Ma prima di procedere oltre su questo argomento, è giusto sgombrare il campo da un grande equivoco.
Cos’è la cultura?
Al termine cultura possono essere date innumerevoli accezioni. Quella che dobbiamo superare è quella che lo collega alla sola conservazione dei “gioielli di famiglia”. Per troppo tempo il nostro Paese è stato privo di una seria politica culturale, il tutto si limitava ad una valorizzazione dei territori senza un serio obiettivo strategico. Un prezzo che paga la nostra idea di “Made in Italy” che sembra essere ferma ed immutabile rispetto a tanti anni fa. Continuiamo a proiettare un “come eravamo” che, seppur straordinario, rischia di ingiallirsi insieme ai nostri ricordi. Eppure la cultura dovrebbe essere anche altro, dovrebbe essere capace di aprirci a nuovi orizzonti. Tutto ciò per dire quanto possa essere continua la “produzione” di cultura. E parlo di un prodotto che non ha, chiaramente, il solo sapore del restyling, ma un prodotto fortemente innovativo con tutte le caratteristiche per poterlo offrire sul mercato, e non solo. La domanda di contenuti culturali, infatti, sembra costantemente in aumento, anche se non necessariamente tale domanda sarà sempre mediata dal mercato. L’Italia però ha l’esigenza di comprendere meglio come la cultura crei valore nel XXI secolo, altrimenti rischia di non utilizzare un suo straordinario punto di forza nella competizione globale.
Numeri importanti: genera 89,7 miliardi di euro
Fatta questa premessa, il grande tema sta nel fatto che chi offre un “prodotto” culturale non sempre (anzi, quasi mai) è organizzato sotto un profilo industriale, si pensi preliminarmente alla tutela e valorizzazione del nostro patrimonio o alle realtà che operano nel settore dello spettacolo dal vivo. Eppure, pur non essendoci alle spalle un’organizzazione industriale i numeri sono tutt’altro che insignificanti.
Alcuni ce li ha offerti la Fondazione Symbola insieme ad Unioncamere: “La cultura partecipa alla ripresa – si legge nel loro comunicato stampa – Il sistema produttivo culturale e creativo fatto da imprese, PA e non profit genera 89,7 miliardi di euro e “attiva” altri settori dell’economia arrivando a muovere nell’insieme 249,8 miliardi, equivalenti al 17% del valore aggiunto nazionale. Un dato comprensivo del valore prodotto dalle filiere del settore, ma anche da quella parte dell’economia che beneficia di cultura e creatività e che da queste viene stimolata, a cominciare dal turismo. Una ricchezza che si riflette in positivo anche sull’occupazione: il solo sistema produttivo culturale e creativo dà lavoro a 1,5 milioni di persone (il 6,1% del totale degli occupati in Italia). E se nel periodo 2011/2015 la crisi si è fatta sentire incidendo in negativo su valore aggiunto e occupati del Paese, rispettivamente con il -0,1% e il -1,5%, nelle filiere culturali e creative la ricchezza è invece cresciuta dello 0,6% e gli occupati dello 0,2%”.
Un ddl per promuovere l’impresa culturale

Immaginare delle agevolazioni per chi “produce” cultura e molto spesso si trova stretto nel crinale tra pubblico e privato, patendo i difetti dei due “modelli” e senza poter godere appieno dei pregi di nessuno dei due, è un autentico investimento sullo sviluppo del Paese. Non a caso ne scrivo su Start Magazine – rivista che, credo, su questo si dovrà interrogare – e non a caso queste proposte legislative partono dal modello delle start up innovative. Un investimento sull’innovazione, un investimento sullo sviluppo, appunto.
Domenico Barbuto
Responsabile relazioni esterne
Associazione generale italiana dello spettacolo (AGIS)


