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Elezioni in Iran, fatti e scenari

Il punto sulle elezioni in Iran. Fatti e scenari in vista dei risultati

Una lista di candidati vicini ai Guardiani della Rivoluzione iraniana, i Pasdaran, è in testa nelle elezioni parlamentari a Teheran. Lo rende noto l’agenzia di stampa Fars citando risultati preliminari del voto che si è svolto ieri. La televisione di Stato ha annunciato che sono iniziate questa mattina le operazioni di conteggio dei voti. Secondo le previsioni, gli alleati del dell’Ayatollah Ali Khamenei dovrebbero ottenere la maggioranza delle preferenze. L’affluenza alle urne a Teheran è apparsa molto più scarsa delle tornate precedenti, in particolare rispetto alle legislative del 2016 che fecero registrare una partecipazione del 62% a livello nazionale. Ma le autorità hanno prolungato varie volte le operazioni di voto oltre l’orario previsto affermando che vi erano ancora elettori ai seggi. “Non sembra essere stata la paura del coronavirus, tuttavia, a spingere molti elettori a disertare le urne, bensì le promesse non mantenute del presidente moderato Hassan Rohani per una liberalizzazione interna e una distensione con gli Usa, fatta fallire proprio da Washington con il ritiro dall’accordo sul nucleare del 2015 – ha scritto Alberto Zanconato dell’Ansa da Teheran – I conservatori, secondo tutte le previsioni, dovrebbero riuscire a riprendere il controllo quasi assoluto dell’assemblea. Ma la Guida suprema Ali Khamenei, dopo aver deposto la sua scheda nell’urna, ha nuovamente invitato la popolazione ad andare a votare al fine di “garantire gli interessi nazionali del Paese”. (Redazione Start Magazine)

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DI MARTA ALLEVATO PER L’AGI:

Il nuovo Parlamento iraniano che uscirà dalle elezioni di venerdì “dovrà pensare ai problemi della gente, come l’alto tasso d’inflazione e disoccupazione”, ma anche “indossare la divisa da guerra” e non accettare di trattare con gli Stati Uniti da una posizione di debolezza, come ha fatto invece l’attuale governo del presidente Hassan Rohani. È la convinzione diffusa negli ambienti conservatori a Teheran, a pochi giorni dalle elezioni legislative di venerdì in cui, con molta probabilità, il fronte ultraconservatore prenderà il controllo del Majlis (l’Assemblea legislativa della Repubblica islamica), prospettando un difficile ultimo anno di mandato per il presidente ‘centrista’ Hassan Rohani.

Agli occhi dei loro oppositori politici, il presidente e il suo governo sono colpevoli di “essersi fidati” degli Stati Uniti e dell’Europa firmando quello che qui si chiama Barja’m (l’accordo sul nucleare del 2015, Jcpoa); agli occhi, invece, di parte dell’elettorato sono responsabili di non aver attuato riforme e mantenute le promesse di un miglioramento degli standard di vita. In questi ultimi due anni seguiti all’uscita unilaterale di Washington dal Jcpoa, i conservatori hanno spinto per un’agenda più radicale.

Ora, incoraggiati dalla massiccia partecipazione popolare ai funerali del generale Qassem Soleimani, ucciso in un raid americano il mese scorso a Baghdad, i conservatori (che in Iran sono raggruppati sotto il nome di ‘principalisti’) guardano alla consultazione del 21 febbraio come l’opportunità di plasmare una nuova Assemblea che porti avanti una politica di scontro totale con gli Stati Uniti.

“La politica della massima pressione degli Usa è così tremenda e senza precedenti che la radicalizzazione dell’Iran era un risultato naturale e prevedibile”, ha spiegato al Financial Times Saeed Laylaz, analista di aerea riformista. “Sono a favore di chi, come Qalibaf, sostiene che il dialogo con gli Stati Uniti così come sono oggi non serve”, spiega all’Agi Mohammed Ghaderi, direttore del quotidiano Tehran Times, il più antico in lingua inglese nel Paese e per metà finanziato dallo Stato.

Ghaderi non nasconde le sue simpatie politiche, pur tenendo a sottolineare che queste non influiscono sul suo lavoro di giornalista. “Il nuovo Parlamento iraniano”, a suo dire, “sarà più dinamico perché entreranno molti più giovani e dovrà muoversi in un contesto internazionale del tutto diverso, con un’America più violenta”.

“Il nostro Majlis”, ammonisce, “dovrà mettersi la divisa da guerra, perché Trump ha sfoderato la spada e non possiamo rimanere a guardare”. La resistenza alla pressione Usa, che di fatto ha isolato economicamente l’Iran, ha un prezzo alto per la popolazione alle prese con inflazione, disoccupazione, mancanza di prodotti base come i medicinali.

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ESTRATTO DAL FOCUS ISPI:

“Tra i personaggi da tenere d’occhio in queste elezioni c’è l’ex sindaco di Teheran ed ex Guardiano della Rivoluzione Mohammad Baqer Qalibaf. Il suo nome viene fatto tra i favoriti a diventare speaker del Parlamento, ruolo che potrebbe usare come trampolino di lancio per la corsa alla presidenza prevista l’anno prossimo. Se infatti le elezioni di oggi porteranno – come atteso – una vittoria del campo conservatore, è improbabile che i riformisti riescano a mantenere la presidenza, quando Rouhani avrà esaurito i due mandati. Tutto questo è in parte stato determinato dalla politica di “massima pressione” adottata dall’amministrazione Trump contro l’Iran negli ultimi due anni e culminata lo scorso gennaio nel raid americano con cui è stato ucciso il potentissimo generale dei Pasdaran Qassem Soleimani. È ancora presto per dire se i riformisti riusciranno a sopravvivere politicamente al voto, ma di certo i rapporti di forza sembrano ormai pendere irrimediabilmente per le frange più conservatrici e radicali”

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