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Vivendi - Mediaset

Vivendi osservata speciale. Anche l’Europa attende le prossime mosse

Anche l’Europa mantiene alta l’attenzione sulla questione Vivendi – Tim, alla ricerca di una concorrenza garantita   È Vivendi l’osservato speciale di queste settimane. Almeno per il Governo italiano e per Bruxelles: anche l’Europa, che pochi mesi fa aveva dato il suo via libera a Vivendi per il controllo de facto su Telecom, sembra fare…

Anche l’Europa mantiene alta l’attenzione sulla questione Vivendi – Tim, alla ricerca di una concorrenza garantita

 

È Vivendi l’osservato speciale di queste settimane. Almeno per il Governo italiano e per Bruxelles: anche l’Europa, che pochi mesi fa aveva dato il suo via libera a Vivendi per il controllo de facto su Telecom, sembra fare un passo indietro, ricordando che tutto è vincolato alla concorrenza sul mercato.

E mentre una commissione ah hoc studia l’ipotesi golden power, Mediaset chiede alla francese un risarcimento di 3 miliardi per non aver onorato il primo accordo di contratto. Ma andiamo per gradi.

La questione Vivendi – Tim

Vivendi, azienda francese guidata dall’imprenditore bretone Vincente Bollorè, è l’azionista di maggioranza con il 23,9% del capitale ordinario di Telecom. I numeri delle azioni hanno spinto Vivendi a sottoporre all’Ue la volontà di poter prendere il pieno controllo di Telecom. Il via libera al controllo de facto di Vivendi su Telecom è arrivato il 30 maggio 2017.

Il 28 luglio 2017, poi, la francese ha annunciato di aver avviato “l’attività di direzione e coordinamento” su Tim.

E questo significa che Telecom, l’ex monopolista italiana, è ufficialmente francese: il gruppo potrebbe essere tranquillamente coordinato da Parigi. È la prima volta, nell’era privata di Telecom, che l’azienda italiana perde formalmente la sua indipendenza.

Telecom però è una società di comunicazioni strategia per il nostro Paese. In questo caso, per legge, tutti gli eventuali cambi di controllo devono essere notificati alla Presidenza del consiglio entro dieci giorni o in ogni caso prima che divengano effettivi. Nel settore delle comunicazioni, poi, la legge prevede che, con poteri speciali, il Governo in carica possa mettere un veto sulle operazioni riguardanti asset strategici (golden power), oppure porre particolari condizioni.  Per accedere alla golden power dall’istruttoria dovrebbe emergere un possibile ‘grave pregiudizio’ per gli interessi pubblici. 

Nei giorni scorsi sono state depositate le posizioni di Tim e di Vivendi sul nodo del controllo e ora si attende il responso dell’istruttoria avviata dal Governo, che ha dato vita ad un comitato presieduto da Luigi Fiorentino, al quale partecipano rappresentanti dei ministeri di Esteri, Interni e Difesa. Gli avvocati delle due società, Sabino Cassese e Andrea Zoppini, sono convinti che la posizione di Vivendi in Tim (ovvero direzione e coordinamento ma non controllo di Tim) non causi “alcun pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e della continuità degli approvvigionamenti”.

Obiettivo della commissione è indagare se la comunicazione inoltrata a marzo, ai fini antitrust, alla Commissione europea, sull’avvio della direzione e coordinamento su Tim non rappresentasse già un controllo di fatto. Di cui, però, al Governo italiano non è giunta notizia. E di qui, dunque, la possibilità di imporre una sanzione milionaria e quella di pretendere ulteriori chiarimenti rispetto al piano industriale.

L’Europa ci ripensa?

Non ci ripensa l’Europa, almeno per il momento. Il commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager, però, ci ha tenuto a ricordare che Vivendi è ora un sorvegliato speciale e che l’attenzione sulla questione Tim resta alta.

“Naturalmente stiamo seguendo la situazione molto da vicino ma quello che per noi è importante è la concorrenza sul mercato italiano, perché vogliamo che i consumatori italiani possano scegliere, prezzi sostenibili sono essenziali sia per le società che per i consumatori”, ha affermato Margrethe Vestager a margine del Forum Ambrosetti. “Quello che guardiamo quando facciamo questo genere di valutazioni è chi esercita il controllo, se è un merger di fatto anche se non sembra, perché questo riguarda come funziona la concorrenza sul mercato”.

Il fronte Mediaset

A preoccupare Vivendi c’è poi il fronte Mediaset. La battaglia legale tra Italia e Francia, in questo caso, dovrebbe valere 3 miliardi. Queste, almeno, sono nel complesso le richieste di risarcimento presentate dal Biscione, dalla controllata Rti, e dalla holding Fininvest nei confronti della società francese per la rottura dell’accordo su Premium dell’aprile 2016 e per la scalata a Mediaset di fine 2016.

Vivendi-MediasetCome racconta la stessa Vivendi, infatti, lo scorso 9 giugno, Mediaset, Rti e Fininvest hanno depositato al Tribunale di Milano un nuovo atto di citazione nei confronti di Vivendi per ottenere il pagamento di danni e interessi per un ammontare totale di 2 miliardi di euro a Mediaset e a Rti e di un miliardo di euro a Fininvest con l’accusa a Vivendi di aver acquistato titoli Mediaset nel corso dell’ultimo trimestre 2016.

Il primo accordo Vivendi-Mediaset risale ad aprile 2016 e parlava di uno scambio azionario di un pacchetto del 3,5% del capitale e della vendita della quota del Biscione nella pay-tv Mediaset Premium (l’89% della pay-tv, mentre il restante 11% acquistato dagli spagnoli di Telefonica sarebbe arrivato in un secondo momento). Dopo aver analizzato il business plan di Mediaset Premium (che secondo la francese si basava “su ipotesi irrealistiche” nel fissare al 2018 il limite per il ritorno all’equilibrio operativo), l’azienda guidata da Vincent Bollorè ha fatto marcia indietro, proponendo un nuovo accordo. Accordo, però, che non piace a Mediaset, che decide di far causa.

Oltre ad una guerra legale, nasce una guerra a colpi di azioni. Vivendi inizia a rastrellare i titoli del Biscione e ad oggi  il gruppo guidato da Vincent Bolloré è salito al 28,8% del capitale, vicinissima al 30%, ovvero alla soglia massima oltre la quale è necessario lanciare una offerta su tutto il capitale (data la presenza in Telecom, causa legge Gasparri, ha congelato una parte dei diritti di voto in Mediaset).

 

 

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