Più poteri alla banca centrale, un’unica autorità di vigilanza per il credito e le assicurazioni, nuovi ministeri. Dopo avere eliminato il limite costituzionale dei due mandati per il presidente e il vicepresidente, aprendo così la strada alla permanenza al potere di Xi Jinping anche oltre il 2023, la Cina continua nell’opera di ristrutturazione della propria architettura istituzionale. Una riforma che ricalca quella condotta negli anni Ottanta del secolo scorso, quando il Paese aveva necessità di ricostruire le istituzioni demolite dalla Rivoluzione culturale, e che ha come obiettivo finale quello di centralizzare ulteriormente il potere, rafforzando la presa del Partito comunista cinese sullo Stato, ben rappresentata dalla Commisisone di supervisione, l’organismo che accorpa le funzioni giudiziare sia pubbliche sia del Pcc.
Le ragioni profonde sono state elencate da Liu He, consigliere del presidente Xi per gli affari economici e indicato come possibile successore di Zhou Xiaochuan quale presidente della Banca popolare cinese (PboC). «Intensificare la riforma del Partito e delle istituzioni è un requisito ineludibile per rafforzare la governance del Pcc sul lungo periodo», ha scritto Liu in un editoriale sul Quotidiano del Popolo.
Priorità della dirigenza cinese è garantire la stabilità. Anche per questo uno dei pilastri della riforma è l’accorpamento in un’unica autorità della vigilanza bancaria e sulle assicurazioni. Si tratta di un progetto del quale si parla da tempo, motivato dalla necessità di coordinamento tra i vari enti e che nella versione dibattuta in passato avrebbe dovuto includere anche la China Securities Regulatory Commission, equivalente locale della Consob. Ma la sicurezza dei mercati azionari oggi, dopo gli scossoni del 2015 e di inizio 2016, sembra passata in secondo piano rispetto ai timori sulla tenuta di banche e compagnie.
Secondo quanto emerso da uno studio della Banca dei regolamenti internazionali, il sistema creditizio della Repubblica popolare è vulnerabile e pertanto a rischio di potenziali crisi per via dell’indebitamento eccessivo. Anche per questi timori Pechino ha dato il via libera alle nuove linee guida che permettono agli istituti di sperimentare forme alternative di ricapitalizzazione, sfruttando canali diversi come l’emissione di obbligazioni convertibili e altri strumenti.
E non è un caso che nelle stesse ore in cui Xinhua dava notizia delle nuove norme, l’Agricoltural Bank of China, uno dei quattro giganti statali del credito, annunciava un’operazione di private placement per 100 miliardi di yuan, circa 15 miliardi di dollari. Quanto alle assicurazioni, risale ad appena due settimane fa il commissariamento di Anbang, colosso a rischio insolvenza, proprietario tra l’altro dell’iconico hotel Waldorf Astoria di New York, e il cui presidente Wu Xiaohui è finito sotto indagine per non meglio specificati reati economici. Un caso che affonda radici nella destituzione e nell’incriminazione la scorsa primavera del presidente dalla Circ, la China Insurance Regulatory Commission, ossia la vigilanza sul settore che diventerà una sola entità con quella sulle banche, La nuova authority risponderà direttamente al Consiglio di Stato, l’esecutivo nazionale. Diverse funzioni delle due vigilanze passeranno invece alla PboC.
Il governo sta inoltre pianificando di creare una amministrazione per la supervisione sui mercati, un maxi organismo che unirebbe alcune delle funzioni della State Administration for Industry and Commerce, della China Food and Drug Administration, nonché delle autorità antitrust che dipendono dalla Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo (massimo organismo di pianificazione economica) dal ministero del Commercio e dall’esecutivo.
(articolo di Mf/Milano Finanza)