Mentre si allarga il fronte del Si, c’è chi spiega le ragioni per cui uscire dell’euro sarebbe sbagliato
La Brexit e le promesse di un referendum sulla Frexit, in caso di vittoria delle elezioni, in Francia, di Marine Le Pen, hanno riacceso, anche in Italia, le discussioni sull’uscita o no dall’euro. Sarà questo uno dei temi principali della campagna elettorale delle prossime elezioni per la scelta del nuovo Governo. E sarà questo anche uno dei criteri della scelta del nuovo Premier.
A condurre l’Italia verso l’uscita dall’euro, sostiene lo strategist Albert Edwards di Societè Generale, sarà il malcontento della popolazione. A prescindere dai benefici, afferma Edwards, “Ritengo che sia solo una questione di tempo prima che il progetto dell’Eurozona finisca in frantumi. Chiaramente il referendum sulla Brexit non ha aiutato. Per me i problemi sono, nell’ordine, l’Italia e la Francia. Perché? Là la gente è insoddisfatta e le economie sono too-big-to-fail. Il popolo non è per nulla contento di quello che ha avuto dal progetto dell’area euro in termini di occupazione e crescita economica”. “Dopo la prossima recessione la maggioranza dei cittadini italiani – ha continuato lo strategist – dirà basta all’esperimento dell’area euro e voterà per chi è a favore di un’uscita graduale dall’area euro o comunque da una ridefinizione dei trattati. Non ci saranno nemmeno negoziati come nel caso della Grecia con la Germania”.
A sostenere che l’uscita dall’Euro porterà numerosi benefici economici al Bel Paese sono soprattutto il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord. Ma i benefici tanto sbandierati non trovano proprio tutti così d’accordo. Ed ad opporsi all’uscita dall’Euro sono esponenti politici ed economisti. Vediamo insieme le loro opinioni.
Istituto Bruno Leoni: uscire dall’euro, nessun vantaggio applicabile
A rispondere agli euro-scettici è anche il centro studi italiano, Istituto Bruno Leoni. E lo fa rispondendo, in particolare a chi sostiene che l’uscita dell’Italia darebbe al Bel Paese la possibilità di svalutare la moneta, e dunque rendere le nostre esportazioni più competitive; e consentirebbe il sottrarsi alle regole europee sul bilancio pubblico, abbandonando la cosiddetta austerity.

E ancora. “Fuori dall’Unione non saremmo tenuti a rispettare le regole imposte al bilancio pubblico dal patto di stabilità e crescita. In astratto, potremmo dimenticarci il famoso limite del 3% al deficit pubblico e ogni percorso di rientro dal debito. Qualcuno di noi fa fatica a considerare il debito pubblico una panacea. Altri potrebbero ricordare che ci toccherebbe modificare in tutta fretta la Costituzione, nella quale abbiamo inserito un seppur debole vincolo all’equilibrio di bilancio”.
E c’è di più. Perchè, anche fuori dall’Unione l’Italia non potrebbe permettersi maggior deficit e maggior debito. “La BCE non acquisterebbe più il nostro debito. Per convincere i privati, italiani e stranieri, a comprare i titoli di Stato italiani, dovremmo pagare tassi di interesse molto più alti di oggi. E i potenziali acquirenti non si fiderebbero affatto di un paese che aggiunge ulteriore debito al gigantesco peso da cui è già gravato. Per trovare qualcuno disposto a comprare i nostri titoli, o a rinnovare quelli che detiene, dovremmo porre in atto paradossalmente politiche più e non meno “austere” di quelle di oggi”, aggiunge il centro studi.
Carlo Calenda: Uscire dall’euro ci impoverirebbe
“Uscire dall’euro vorrebbe dire un gigantesco e istantaneo impoverimento dell’Italia in una misura ben superiore a quella sperimentata nei sette anni della crisi. Fuori dall’euro il debito pubblico, oggi detenuto dalle istituzioni finanziarie e dai cittadini italiani per oltre il 70 per cento, rischierebbe di diventare insostenibile, con effetti immaginabili su famiglie, banche e imprese. Mi pare uno scenario da incubo per fortuna molto lontano. I manuali della Lega “su come uscire dall’euro in dieci facili passi” sarebbero comici se non fossero il sintomo del livello raggiunto da un pezzo della nostra classe politica “, ha affermato in una intervista a Repubblica Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico.
BCE: l’euro è irrevocabile

“L’Euro è irrevocabile”, ha affermato Mario Draghi, rispondendo a una domanda avanzata da un deputato del M5S. Il Trattato di Maastricht, ha continuato il Presidente della Banca Centrale Europea, è stata una “decisione coraggiosa”, “una nuova tappa nel processo dell’integrazione europea”. “Con la moneta unica -spiega Draghi- abbiamo forgiato bond che che sono sopravvissuti alla peggiore crisi economia dalla Seconda guerra mondiale”. E’ facile scegliere “di rivoltarsi conto i propri vicini o di cercare soluzioni nazionali”.
Giorgio Lunghini: fuori dall’euro aumenta l’inflazione
A dire no all’uscita dall’euro è anche l’economista Giorgio Lunghini, che sostiene che un’eventuale abbandono della moneta unica comporterebbe un aumento immediato dell’inflazione, del 15% circa, scatenando “una rincorsa prezzi-salari-cambio: con un tasso di inflazione nell’ordine del 20% l’anno e con una perdita salariale insopportabile”.
“Il potere d’acquisto delle retribuzioni potrebbe essere garantito soltanto con un adeguamento completo delle retribuzioni ai prezzi; – spiega Lunghini n un articolo pubblicato su I Manifesto – ma la perdita media annua di reddito sarebbe del 10%, che si aggiungerebbe a quella sulla ricchezza mobiliare determinata dagli effetti della inflazione sui titoli di stato; e con una inflazione così elevata aumenterebbero ulteriormente le disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza tra lavoratori dipendenti e autonomi e tra creditori e debitori”.
Giacomo Nardozzi: la lotto all’euro penalizza i pensionati
Ad esprimersi sulla questione, già nel 2014 (ai tempi delle elezioni europee) è stato anche Giangiacomo Nardozzi, professore ordinario di Economia Politica al Politecnico di Milano, che sostiene che un’uscita dall’euro avrà effetti poco piacevoli per singoli lavoratori a reddito fisso e pensionati.







