Al vertice dell’Aia, i paesi Nato hanno deciso di sottoscrivere l’impegno per aumentare le spese in Difesa al 5% del proprio PIl. Come voleva Donald Trump. Uno scatto in avanti importante, che però non a tutti è andato bene. Ne abbiamo parlato con Andrea Gilli, esperto in politiche di difesa e studi strategici, ricercatore all’Università di St. Andrews.
L’aumento delle spese per la difesa al 5% è davvero un risultato rilevante, chi vince con questa decisione?
È un risultato importante per una serie di ragioni. La prima perché è una vittoria politica di Trump, non era il tema più importante della sua agenda elettorale, ma era comunque una parte importante della sua piattaforma di politica estera che verteva sul fatto che gli europei dovessero spendere di più in difesa. Trump è riuscito a ottenere il consenso di tutti gli alleati sull’aumento della spesa, ben oltre quello che ci si poteva aspettare solo pochi mesi fa. Quando ho sentito parlare la prima volta di 5%, sembrava anche a me una cifra enorme. E invece ci siamo arrivati. E poi è una vittoria dei paesi europei che già spendono molto, come la Polonia, i Baltici, i nordici, paesi che storicamente hanno speso tanto in difesa e che dicono: dobbiamo difenderci dalla minaccia russa.
Quindi si passa dal 2%, a cui alcuni paesi tra cui l’Italia fanno fatica ad arrivare, al 5%.
Tutti dicono che il 2% è stato posto nel Vertice del Galles del 2014, in realtà lì è stato messo sulla carta ma si chiedeva anche prima, alla fine degli anni 2000. Era un periodo in cui non c’erano avversari che minacciassero direttamente la Nato e si riteneva fosse necessario spendere il 2%. È ovvio che nel momento in cui questo avversario è emerso, quella soglia non è più sufficiente. Già un anno fa Kallas, insieme ad altri, diceva che il 2% era un floor, un punto da cui bisognava partire, e non un ceiling, un punto di arrivo. Se noi andiamo a vedere i paesi europei, è innegabile che sono indietro per capacità militari. Non mancano solo uomini, o mezzi. Mancano infrastrutture, addestramento. Quindi che sia necessario spendere di più per avere delle forze armate più performanti e più capaci è innegabile. Poi che questo aumento di spesa si traduca in maniera lineare, in aumento di capacità, è un altro discorso. Ma è giusto andare in quella direzione.
La Nato ha deciso di dividere la soglia totale: 3,5% in spese per la Difesa vera e propria, 1,5% in spese legate alla sicurezza e al dual use, quindi investimenti validi sia a scopo militare sia civile. Una mossa decisiva?
Questa divisione è interessante e dal punto di vista pratico molto intelligente. Chiedere a tutti i paesi di spendere il 5% solo in Difesa sarebbe stato politicamente indigeribile, non era fattibile. Europa e Stati Uniti hanno poi una superiorità tecnologica rispetto alla Russia. Ma Mosca può colpire dove siamo più vulnerabili: infrastrutture critiche, attacchi cyber, logistica. Dove con degli attacchi anche non cinetici si possono bloccare per esempio i traffici ferroviari, indebolendo la postura di deterrenza e difesa. In caso di crisi, i carri che vanno spostati hanno bisogno di ferrovie, di porti, di infrastrutture. Ormai non si può più trattare in maniera scollegata la difesa e la sicurezza. In tutto ciò, questa divisione permette ai paesi di andare a contribuire alla solidità della Nato, spendendo su temi e dossier che sono meno indigesti politicamente. Ora non so se sarà il caso del Ponte sullo Stretto, ma è più facile andare a investire su una linea ferroviaria e rafforzarla, cioè una spesa sul territorio, rispetto al comprare solo carri armati.
Una scappatoia, insomma.
È una scappatoia ma intelligente, perché comunque permette di andare a spendere su temi sui quali effettivamente c’è un bisogno. Poi come gli Stati andranno effettivamente a spendere questi soldi è un altro discorso.
Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha parlato di svolta, anche se al governo c’è pure la Lega più scettica e pronta a far esplodere il suo malumore. Per l’Italia quella del 5% è una soglia realmente accessibile, considerato che abbiamo fatto fatica a raggiungere il 2%?
Messo in questi termini, il 5% è un obiettivo realistico. L’Italia spendeva poco, negli ultimi mesi ha un po’ aumentato la spesa tradizionale, sono state riclassificate delle voci. Ma andare in quella direzione è fattibile. Poi che ci metteremo 5 anni o 10 anni è un’altra questione. Prima, per esempio, pensavamo alla sicurezza dei nostri porti e la Nato ci diceva, “quello non ci interessa”. Oggi andando a investire per la sicurezza di porti, aeroporti e ferrovie possiamo dire agli alleati: “Guardate che stiamo investendo in questi ambiti che servono anche per l’Alleanza”.
Quindi, il succo è che si può fare.
In generale direi che è fattibile. Poi i tempi saranno quelli che saranno, siamo in Italia. Ma non è un boccone così indigesto. Nonostante l’Italia abbia un debito pubblico elevato che ovviamente pesa. Che ci siano mugugni non soltanto in Italia, ma anche in Europa, è normale. Anche in Germania, con il cancelliere Merz, nel governo c’è l’Spd che non è contento. Ma è normale: se gli europei volessero spendere non ci sarebbe stato bisogno di Trump che sbatteva i pugni.
La Spagna è il paese che più si è messo di mezzo. Con Sanchez che si è quasi scontrato con Rutte, e con Trump che alla fine del vertice ci è andato giù duro.
L’uscita della Spagna e di Pedro Sanchez è stata indigesta un po’ a tutti, ha rischiato potenzialmente di far fallire il Vertice. In realtà, sono tutti abbastanza concordi nel dire che il governo di Sanchez, per ragioni di politica interna, ha voluto quasi sfidare all’ultimo la Nato. Ma non ci ha fatto una grande figura. Alla fine, nessuno aveva interesse ad andare allo scontro, però è evidente come gli spagnoli abbiano messo davanti la sopravvivenza del governo, e soprattutto il tentativo di coprire gli scandali interni, coprendoli con una questione ideologica. Per carità, magari il governo sopravvive, però non ha dato prova di essere un grande alleato.
Nonostante lo scontro con Sanchez e una sorta di ‘servilismo’ nei confronti di Trump, si può dire che Mark Rutte, riuscendo a raggiungere il suo obiettivo sulla Difesa e a non far fallire il vertice, abbia avuto successo?
Per lui la principale insidia della Nato oggi non era tanto la Russia ma una frammentazione dell’alleanza, tra divisioni e posizioni differenti. Quindi ha cercato, e secondo me è in parte il compito che gli spetta, di creare un consenso politico diplomatico all’interno dell’Alleanza per fare in modo che si arrivasse ad un punto di incontro. L’accordo c’è stato, quindi probabilmente ci è riuscito. Se uno mi avesse chiesto un anno fa che saremmo arrivati qua, non ci avrei mai creduto, con Trump o senza Trump. Quindi penso che si possa dare credito a Rutte. È vero, ha prima firmato un controverso lasciapassare alla Spagna, indigesto a molti. E poi ha scritto un messaggio molto ossequioso nei confronti di Trump. Però io ragionerei guardando cosa ha evitato che succedesse. Magari la Spagna metteva il veto alla soglia del 5%, gli altri paesi si arrabbiavano. Con il rischio che Trump magari dicesse: voi non siete seri sulla difesa, io allora non vengo. E sarebbe stata obiettivamente una catastrofe per la solidità politica dell’Alleanza. Tutto ciò non è accaduto, quindi almeno per adesso è un successo politico.