Riarmo: perché di quello russo e cinese nessuno parla?
I media sono tutti i giorni inondati da notizie, articoli e commenti sul tema “riarmo”, ma nessuno scrive che nel 2024 le spese militari della Russia hanno raggiunto la quota record del 7,1 del PIL e che il numero dei militari ha raggiunto la ragguardevole cifra di un milione e trecentoventimila. Nessun giornale, televisione o social media racconta che – stando alle fonti ufficiali (sempre sottostimate) – nel 2024 e nel 2025 le spese militari cinesi sono aumentate del 7,2% su base annua. E neppure che Il numero complessivo dei militari del Dragone ha superato i 3 milioni e duecentomila. Per non parlare dei piani di riarmo che in questi ultimi anni hanno caratterizzato le scelte di Corea del Nord e Iran, paesi legati a filo doppio con Pechino e con Mosca.
Spese per la Nato: perché tanta demagogia per un aumento fisiologico?
L’ aumento della spesa non è un’invenzione di Donald Trump, ma è una vecchia richiesta di Obama formulata già nel 2010 e rinnovata durante la presidenza di Joe Biden. Da almeno 15 anni tutti gli osservatori concordano sul fatto che il contributo degli Stati Uniti alla NATO (in termini di basi, mezzi, tecnologie e soldati) è troppo sbilanciato rispetto al contributo degli altri trentuno stati che fanno parte dell’ alleanza. Dopo il recente summit dell’Aja ciascun alleato dovrà aumentare contribuire nei prossimi dieci anni sino a raggiungere il 3,5 del Pil più l’1,5 per la sicurezza interna.
Perché questa opportunità storica per costruire una difesa europea viene offuscata da mille polemiche?
I ventiquattro Stati che sono membri sia della UE sia della NATO hanno il dovere di spendere bene i futuri finanziamenti. Come? Il modo più semplice è utilizzare gli stessi meccanismi che da anni sono stati sperimentati con successo nella NATO. L’ opinione pubblica deve sapere che non esiste un esercito NATO né una marina NATO né una aeronautica della NATO. Da più di 75 anni esistono procedure comuni vincolanti che consentono di pianificare e ottimizzare le risorse umane e tecnologiche dei 32 Stati alleati collocandole sotto un comando unificato. Analoghe strutture di pianificazione, di comunicazione, controllo e comando possono essere realizzata tra i 24 paesi della UE dando finalmente vita ad una novità politica di portata ovvero il “pilastro europeo” della NATO.
Perché nessuno spiega a quali condizioni il pilastro europeo della NATO è realizzabile?
Perché questo modello di difesa europea si realizzi servono due condizioni. La prima è che gli europei si dotino di alcune capacità tecnologiche di cui attualmente solo gli Stati Uniti dispongono. Verso questi asset (difesa aerea, asset satellitari, intelligence tecnologica, reti di comunicazione dotate di cybersecurity efficace, ecc.) dovranno essere indirizzate le spese militari dei paesi UE. La seconda condizione riguarda le dinamiche di potere e dunque le modalità di governance. In linea generale (salvo i periodici contrasti tra Grecia e Turchia) i paesi europei vanno molto d’ accordo quando operano nella cornice euro-atlantica. La presenza influente degli Stati Uniti è un fattore importante che favorisce la cooperazione tra i 24 stati membri della UE. Dobbiamo essere consapevoli che in un formato esclusivamente europeo i processi di coordinamento e integrazione tra i 24 paesi saranno decisamente più difficili perché mancherà un elemento catalizzatore. Ma questa non è una buona ragione per non procedere. Per il successo del pilastro europeo all’interno dell’Alleanza Atlantica sarà fondamentale concordare preventivamente un modello di governance militare in cui i compiti di ciascuno, la divisione dei ruoli, i processi decisionali e le gerarchie di potere siano accuratamente progettati e programmati.
Perché è tornata di moda la vecchia e falsa narrativa sulla “NATO che non serve più”?
Pratica di Mare fu un punto di arrivo e non di partenza come si sperava. Successivamente l’errore di portata storica compiuto da Bush junior e da Tony Blair in Iraq hanno distolto l’attenzione dal lento, ma progressivo scivolamento del regime di Putin verso una politica interna sempre più autoritaria ed una postura estera sempre più aggressiva. Già nella primavera del 2003 la decisione di ritirare i contingenti russi dalle missioni di peacekeeping dal Kosovo e dalla Bosnia-Erzegovina indica chiaramente l’allontanamento di Mosca dal progetto di collaborazione con la NATO iniziato dalla Russia all inizio degli anni novanta. L’ attenzione del Cremlino si è spostata
sulla Cecenia e sul Kirghizistan e successivamente su Ucraina, Georgia e Moldova. Il disegno è quello di ricostituire con le buone o con le cattive un’area di influenza geopolitica e geoeconomica strettamente guidata dal Cremlino. Sul piano interno l’involuzione repressiva è simboleggiata dal innumerevoli episodi. Ma basta ricordare che mentre nel 2013 Alexei Navalny partecipa alle elezioni per il sindaco di Mosca ottenendo il 27% dei voti dieci anni più tardi (febbraio 2024) troverà la morte in una colonia penale russa vicina al circolo popolare artico. Non a caso dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 il Cremlino rilancia le campagne di influenza sulla necessità di sciogliere la NATO ideate e fatte già circolare 20 anni prima. Ma il riferimento alla comunicazione e alla disinformazione ci porterebbe lontano. Basti qui ricordare che se da un lato occorre evitare ogni forma di censura dall’altro resta un mistero perché in Italia sia cosi difficile promuovere – sulla base di una rigorosa dei fatti – una narrazione alternativa alla dilagante disinformazione di Putin.