Scandinavia in armi. Il nuovo epicentro della tensione est-ovest si è spostato a nord, nel Baltico e ancora più sopra. Ad esempio a Kongsberg, cittadina norvegese di neppure 30mila abitanti, un tempo teatro della resistenza contro l’occupazione tedesca, tornata al centro della pianificazione strategica europea. Le autorità locali stanno riattivando i bunker della Guerra fredda e introducendo nuovi sistemi di comunicazione satellitare per fronteggiare un possibile scenario bellico.
In collaborazione con l’esercito, il comune sta elaborando piani per sostenere un eventuale intervento militare occidentale.
UNA CITTÀ STRATEGICA AL CENTRO DELLA SICUREZZA EUROPEA
Kongsberg non è una cittadina qualsiasi. Situata a circa 85 chilometri da Oslo, è sede dell’omonimo gruppo industriale, produttore di sistemi d’arma ad alta tecnologia, tra cui missili attualmente impiegati in Ucraina. Nel 2024, l’azienda ha inaugurato un nuovo stabilimento per incrementare la produzione e rispondere alla crescente domanda di armamenti da parte dei paesi europei.
Il ruolo di Kongsberg non si limita alla produzione: in caso di conflitto, la città potrebbe appunto trasformarsi in una base logistica per il dispiegamento delle forze armate occidentali. A maggio, le autorità locali hanno incontrato rappresentanti militari per pianificare l’accoglienza e il supporto a truppe alleate, inclusi i servizi sanitari e le strutture di accoglienza. “Se gli alleati arriveranno in Norvegia per addestrarsi o combattere, la comunità dovrà essere pronta a sostenerli”, ha dichiarato Odd John Resser, responsabile della pianificazione d’emergenza della città.
IL RITORNO DEL CONCETTO DI DIFESA TOTALE
Il timore di attacchi russi, in particolare sotto forma di sabotaggi, incendi dolosi e operazioni informatiche, ha spinto i paesi nordici a intensificare le misure difensive e a rivedere radicalmente il concetto di sicurezza nazionale. Al centro di questa strategia c’è il principio della “difesa totale”, un modello che coinvolge l’intera società civile nella preparazione e nella risposta alle crisi.
A fronte dell’aggressione russa in Ucraina, i governi di Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca hanno adottato un approccio che integra strutture civili e militari nella risposta a minacce esterne. Questo modello, già sperimentato nel corso del Ventesimo secolo durante la Guerra fredda, prevede la mobilitazione di risorse civili per sostenere lo sforzo bellico, ma anche per far fronte a crisi non militari come attacchi cibernetici o catastrofi naturali.
Il governo norvegese ha recentemente presentato la sua prima strategia di sicurezza nazionale, dichiarando che il paese si trova ad affrontare la situazione più grave dalla Seconda guerra mondiale. Il primo ministro Jonas Gahr Støre ha sottolineato la necessità di imparare dalla guerra in Ucraina, dove anche la popolazione civile ha svolto un ruolo cruciale: birrifici trasformati in centri di produzione di Molotov, scuole riadattate a rifugi e fabbriche riconvertite per la produzione di armi. “Dobbiamo rafforzare la nostra difesa per evitare che qualcosa del genere accada anche a noi”, ha affermato.
Il concetto di “difesa totale” risponde inoltre a un crescente senso di incertezza sulla continuità dell’impegno degli Stati Uniti nella difesa dell’Europa, un elemento che ha contribuito ad accelerare i piani di riarmo e la creazione di strutture civili in grado di reggere l’urto di un conflitto prolungato.
SCANDINAVIA ALL’AVANGUARDIA NELLA PROTEZIONE CIVILE
Tra i paesi nordici, la Finlandia rappresenta un modello di riferimento. Le sue infrastrutture di protezione civile, comprese centinaia di bunker pubblici, possono ospitare fino all’86% della popolazione. A Helsinki, un singolo rifugio è in grado di accogliere 6.000 persone, garantendo letti, servizi igienici e protezione dalle radiazioni nucleari. In caso di emergenza, questi rifugi sono pronti a entrare in funzione in poche ore.
Anche la Svezia ha rafforzato il proprio apparato civile: dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022, è stato istituito un ministero per la Protezione Civile, e i cittadini tra i 16 e i 70 anni sono tenuti a offrire il proprio contributo, militare o civile, in caso di guerra. La Norvegia, da parte sua, ha reintrodotto l’obbligo di includere rifugi antiaerei nei nuovi edifici residenziali, pratica abbandonata nel 1998, e invita i cittadini a tenere scorte di cibo e acqua per almeno una settimana, in preparazione a possibili interruzioni di corrente o assedi prolungati.
PREPARAZIONE CONTRO LE MINACCE IBRIDE
La consapevolezza dei rischi non si limita allo scenario di guerra convenzionale. Le autorità norvegesi stanno preparando la popolazione anche a eventi più probabili, come blackout prolungati, catastrofi naturali o attacchi informatici. Sempre Kongsberg ha condotto esercitazioni simulate, come quella del 2016, che ha ipotizzato un’interruzione di corrente di quattro giorni, per testare la resilienza del territorio.
Nel tempo, sono stati installati generatori d’emergenza in ospedali e case di riposo, introdotti sistemi di comunicazione satellitare e adottate pratiche come la stampa settimanale dei dati sanitari per prevenire perdite in caso di cyberattacchi. Dopo alcune difficoltà iniziali con i fornitori esteri, il comune ha scelto un sistema satellitare norvegese, preferendo il “controllo nazionale” in caso di emergenza. Il crescente numero di episodi sospetti – come l’avvistamento di droni in aree sensibili, tentativi di forzare i cancelli degli stabilimenti o danni agli impianti industriali – ha spinto le autorità a prendere sul serio la minaccia di sabotaggi.
A differenza di altri modelli occidentali, nei paesi nordici la resilienza civile è costruita dal basso: le autorità locali giocano un ruolo attivo, e l’esercito interviene solo come ultima risorsa. Questa decentralizzazione è la chiave per una risposta rapida e coordinata. La minaccia, ammoniscono gli analisti dei centri di ricerca nordici, non riguarda solo i paesi vicini alla Russia. Potrebbe arrivare ovunque, e l’Europa deve prepararsi ora, prima che sia troppo tardi.