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Cyber, sanità e know-how: il “Ruolo Professionale” per fermare la fuga di cervelli dalla Difesa

Dalle indagini cyber alla sanità militare, dai reparti investigativi al soccorso tecnico: esiste una classe di professionisti che lo Stato continua a trattare come esecutori. È ora di istituire il Ruolo Professionale per allineare l’Italia agli standard Nato.

Il comparto della Difesa e della Sicurezza italiano poggia oggi su una classe di specialisti – Marescialli, Ispettori e personale tecnico-sanitario – che rappresenta una risorsa strategica d’eccellenza, spesso invisibile ai radar della grande pianificazione strategica. Non si tratta più, come accadeva decenni fa, di figure formatesi per sola consuetudine operativa, ma di donne e uomini che hanno completato percorsi di laurea specifici (triennali, magistrali e master di II livello) presso Scuole di formazione militare e centri di eccellenza accademica riconosciuti dallo Stato.

Eppure, a causa di un’architettura gerarchica statica, disegnata su modelli di conflitto del secolo scorso, questi professionisti rimangono confinati in un inquadramento che ne nega la natura direttiva. Si genera così una profonda distorsione funzionale tra il titolo di studio posseduto, la responsabilità reale esercitata quotidianamente e lo status giuridico riconosciuto. Si è delineato un vero e proprio “soffitto di cristallo” che genera uno spreco sistematico di competenze e risorse pubbliche, privando l’amministrazione di una guida tecnica pienamente valorizzata e, fattore ancor più critico, spingendo le migliori menti verso il settore privato.

IL PARADOSSO DEL “FUNZIONARIO LAUREATO” E LA SFIDA TECNOLOGICA

Oggi lo Stato investe centinaia di migliaia di euro nella formazione universitaria di ogni singolo operatore specializzato, ma al termine del percorso lo relega a posizioni formalmente subordinate, privandolo della titolarità del comando tattico e dell’autonomia decisionale. Questa discrepanza è particolarmente evidente – e pericolosa – nei nuovi domini di conflitto ad alto contenuto tecnologico. Pensiamo al dominio Cyber, allo Spazio o alla Sanità operativa: un infermiere militare con competenze avanzate di Critical Care in teatro operativo, o un esperto di Digital Forensics dell’Arma che gestisce indagini complesse, non possono essere gestiti con le logiche della fanteria del Novecento. Questi professionisti devono poter agire con piena autonomia e dignità direttiva. Il mercato civile – dai giganti della cybersecurity ai provider di remote medicine, fino alla consulenza strategica – è oggi estremamente aggressivo nel reclutare queste figure, offrendo inquadramenti adeguati alle competenze reali. Se la Difesa non valorizza chi possiede già un know-how avanzato, condanna se stessa a un continuo e costoso brain drain, trasformandosi in un “ente di formazione gratuito” per il settore privato.

LA SOLUZIONE ATLANTICA: VERSO IL “WARRANT OFFICER” ITALIANO

La proposta non è un salto nel buio, ma il necessario adeguamento dell’Italia agli standard dei principali partner dell’Alleanza Atlantica. È urgente istituire un Ruolo Professionale (RP) che ricalchi la filosofia dei Warrant Officers. Chi sono? Nelle forze armate Usa, i Warrant Officers sono professionisti che non abbandonano la propria specialità tecnica per perdersi nella burocrazia del comando strategico — percorso tipico degli Ufficiali— ma scalano una carriera parallela di altissimo prestigio e autorità. Un Chief Warrant Officer 5 è un consigliere diretto dei vertici, un “custode della competenza” che garantisce che la macchina operativa funzioni, mentre l’ufficiale decide dove dirigerla. L’Italia ha bisogno di questa figura ibrida: un manager della tecnica che garantisca interoperabilità reale nelle missioni internazionali, dove spesso i nostri Marescialli, pur avendo competenze identiche o superiori ai colleghi alleati, vengono penalizzati da un rango che non riflette la loro funzione.

LA PROPOSTA DI RIFORMA: I 4 PILASTRI E L’EQUIPOLLENZA PA

L’architettura del personale andrebbe riorganizzata per garantire la convergenza funzionale con la Pubblica Amministrazione civile (in linea con il nuovo CCNL Funzioni Centrali), superando l’attuale confusione. Il sistema si articolerebbe su quattro pilastri distinti:

  • Ruolo Normale (RN – Ufficiali): Invariato. Destinato alla dirigenza strategica, diplomatica e al comando di vertice politico-militare;
  • Ruolo Tecnico (RT – Ufficiali): Invariato. Riservato alle professioni ordinistiche a nomina diretta per funzioni dirigenziali (Medici, Ingegneri, Commissari) per funzioni di supporto logistico-amministrativo;
  • Ruolo Speciale (RS – Ufficiali): Invariato. Valorizzazione per comprovata esperienza di chi proviene dalla base, focalizzato sul comando di uomini più che sulla tecnica specialistica;
  • Ruolo Professionale (RP – Nuova Istituzione): Dedicato ai laureati delle Scuole Marescialli e Ispettori. Sono i “Funzionari Operativi” responsabili della continuità del comando tattico e dell’efficacia tecnica dei reparti specializzati.

Il nuovo Ruolo Professionale non entra in competizione con la dirigenza strategica, ma ne integra l’azione, colmando il vuoto tra la truppa e lo Stato Maggiore. La riforma prevede un allineamento funzionale ed economico ai livelli dell’Area dei Funzionari e dell’Elevata Qualificazione della PA:

  • Maresciallo / Ispettore: equivalente a Funzionario / Sottotenente.
  • Primo Luogotenente (Grado Apicale): equivalente al livello delle Elevate Professionalità / Maggiore.

SOSTENIBILITÀ ECONOMICA: TRASFORMARE LA SPESA IN INVESTIMENTO

In un contesto geopolitico che impone il rifinanziamento della Difesa verso il target Nato del 2% del Pil, questa riforma non va letta come una voce di costo aggiuntiva, ma come una manovra di ottimizzazione finanziaria (una spending review virtuosa delle risorse umane). L’attuale assetto genera infatti “costi occulti” enormi, legati principalmente a due fattori dissipativi:

  • L’emorragia di competenze: Lo Stato sostiene costi ingenti per formare personale altamente qualificato (lauree, master, abilitazioni tecniche), per poi vederlo migrare verso il settore privato dopo pochi anni, frustrato dall’assenza di una progressione di carriera verticale nel proprio dominio tecnico. Di fatto, la Difesa sta involontariamente “sussidiando” la formazione del personale per le grandi aziende civili (cybersecurity, colossi delle assicurazioni e del risk management sanitario, industria aerospaziale), cedendo gratuitamente asset strategici appena diventano produttivi;
  • Il costo di sostituzione: Ogni tecnico esperto che lascia l’uniforme impone l’avvio di un nuovo ciclo formativo per una recluta, con anni di time-to-competence prima di ritornare alla piena operatività.

Istituire il Ruolo Professionale inverte questa tendenza. Permette di adottare il modello di carriera a “Y”: da un lato la via del comando generalista (Ufficiali), dall’altro la via della specializzazione tecnica (Funzionari Operativi). Significa smettere di formare “laureati esecutori” per impiegare finalmente “funzionari laureati”, ottenendo il massimo ritorno sull’investimento dalla spesa pubblica già sostenuta per la loro istruzione.

Nel 2025, l’autorità operativa deve poggiare sulla competenza certificata e sulla capacità di risolvere problemi complessi, non più solo sull’anzianità di servizio o sull’investitura formale. Continuare a ignorare questo principio è un lusso che il Sistema Paese, stretto tra la necessità di modernizzazione tecnologica e vincoli di bilancio, non può più permettersi.

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