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Via della Seta, il sogno cinese di dominio dei mari

Il sogno di dominio dei mari è diventato parte integrante del sogno cinese ed ha trovato una configurazione giuridica con l’inserimento della Nuova Via della Seta nella Carta costituzionale della Repubblica popolare. L'analisi di Elisabetta Esposito Martino, sinologa e costituzionalista

Il Memorandum d’intesa tra il governo di Roma e quello di Pechino è stato firmato, e con esso l’Italia, prima tra i Paesi del G7, è ufficialmente nella “Belt and Road Initiative”, la Nuova Via della Seta – seguita a ruota dal Lussemburgo – mentre la Repubblica popolare di Cina, quasi per incanto, è assurta al centro delle discussioni politiche, economiche e strategiche nostrane, anche in vista del Vertice bilaterale Unione europea-Cina in programma a Bruxelles martedì 9 aprile.

Tecnicamente, non è stato firmato un trattato, ma è stata apposta una firma ad uno strumento operativo, volto ad una cooperazione bilaterale, nel contesto di un partenariato strategico globale che riguarderà scienza, tecnologia e innovazione, start-up e agenzie spaziali, televisioni e agenzie di stampa, con una grande attenzione ai beni culturali ed ai siti Unesco, con lo scopo di implementare l’e-commerce, la collaborazione fiscale, sanitaria e le esportazioni di prodotti nostrani, simboli dello stile di vita italiano. Tante le imprese coinvolte (tra cui Eni, Cassa Depositi e Prestiti, Banca Intesa, Ansaldo Energia, Snam, Danieli) con l’intento di creare sinergie ed opportunità.

UNA RETE TERRESTRE, MARITTIMA E ANCHE POLARE

Gli accordi costituiscono per l’Italia un tentativo di agganciare le opportunità offerte dal faraonico progetto annunciato dal presidente cinese nel 2013, che coinvolge già 70 Paesi, di cui 13 europei, in un grande spazio economico eurasiatico integrato. Questa rete è articolata in sei corridoi terrestri – la Silk Road Economic Belt (Sreb) – che si ramificano dall’Asia fino all’Europa, cui si è aggiunta la Via della Seta polare, lungo tre rotte attraverso l’Artico: un passaggio a nord-est in Russia, uno centrale e uno a nord-ovest che dovrebbe raggiungere il Canada, grazie alla nuova percorribilità resa possibile dal riscaldamento globale. Il 21 aprile 2016, un treno di 41 container, partito da Wuhan il 6 aprile, arrivava alla periferia di Lione, dopo aver percorso 11.500 km: la Nuova Via della Seta è fatta di strade, ferrovie, vie sotterranee di gasdotti ed oleodotti.

A questo fascio di percorsi terrestri fa da corona la XXI Century Maritime Silk Road (Msr), i blue economic passages che dalle coste del Fujian, tra Cina e Taiwan, passano per il Mar cinese meridionale e, attraverso lo Stretto di Malacca, raggiungono l’Oceano Indiano, risalendo il Mar Rosso fino al Canale di Suez per immettersi così nel Mediterraneo e, attraversato l’Adriatico, approdare sulle coste italiane, per agganciarsi alla Via della Seta terrestre.

Queste arterie, che tradizionalmente partivano da Yumen, la Porta di Giada, eretta nel 121 a. C., finiscono a Venezia, porta millenaria tra Oriente ed Occidente, che oggi si dilata verso i sistemi portuali di Genova-Savona, sbocco dell’area più industrializzata d’Europa e di Trieste e Monfalcone, rivolti alla Mitteleuropa, che collegano il Mediterraneo al Nord Europa e ai Paesi orientali. A questi si è aggiunto, dopo la visita di Xi, il porto di Palermo, cuore pulsante del Mare Nostrum.

RETAGGI STORICI E NUOVE EPOPEE

Ma quali rischi e quali speranze possono celarsi dietro tutto questo? La Belt and Road Initiative risponde alla necessità di dare certezza e compattezza al popolo cinese che cerca, come da millenaria tradizione, nel proprio passato gli strumenti per forgiare il futuro. E così il Partito comunista cinese ha ripescato la fitta rete logistico-economico-commerciale rappresentata dalla variegata rete di percorsi, battezzata nel 1877 come Seidenstraße, Via della Seta, dal barone Ferdinand von Richthofen, che oggi tesse una rete di connettività tra passato e futuro, per una nuova visione di globalizzazione.

Sulla scia di questi traffici millenari, che coinvolsero beni, uomini ed idee da epoche remote, l’amministrazione cinese ha ripercorso la propria storia, rievocando le missioni diplomatiche di Zhang Qian, nel II secolo a. C., che avviarono scambi economici, culturali e politici in un’ottica di rafforzamento strategico delle posizioni acquisite dalla dinastia Han, ed anche le gesta di un ammiraglio musulmano, Zheng He. Questo eroe, con un’immane flotta  (le colossali navi dei tesori, imponenti come un’attuale portaerei), si spinse nel 1405 oltre il Mar cinese raggiungendo l’Oceano Indiano, il Golfo Persico e il Mar Rosso (fino a La Mecca) per arrivare sulle coste orientale dell’Africa, tra Somalia e Kenya.  L’epopea finì dopo pochi anni a causa di una politica ottusa che abbandonò ogni pretesa mercantile. Questa abdicazione probabilmente contribuì alla dissoluzione dell’Impero Celeste e alle successive umiliazioni che oggi il Dragone vuole cancellare, proponendo un modello economico diverso, alternativo a quello Occidentale, che possa rendere la Cina un’indiscussa protagonista della globalizzazione, in grado di decidere i destini del mondo e di guidarne l’economia.

EQUILIBRI GEOSTRATEGICI E RUOLO ITALIANO

Il sogno di dominio dei mari è diventato così parte integrante del sogno cinese ed ha trovato una configurazione giuridica con l’inserimento della Nuova Via della Seta nella Carta costituzionale della Repubblica popolare, con un emendamento del 2018. La fitta rete di relazioni diplomatiche che Pechino sta tessendo è funzionale alla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali – finanziate attraverso l’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), dotata di un capitale pari a 100 miliardi di dollari americani -, divenute strumento precipuo della politica economica e militare cinese e garanzia della sua sicurezza energetica.

Il disegno strategico cinese ha come scopo ultimo quello di accreditarsi, attraverso la gestione a livello globale delle relazioni internazionali, come grande potenza il cui progetto egemonico è indissolubilmente legato alla tenuta del modello del capitalismo comunista con caratteristiche cinesi, finalizzato alla costruzione di una società moderatamente prospera.

In questo contesto si inserisce il nostro Paese, che potrebbe trarre dei considerevoli vantaggi dalla crescita dei flussi commerciali in un contesto aperto, inclusivo e bilanciato, ma che, d’altro canto, difficilmente riesce a smarcarsi da una politica frammentata, incoerente e instabile, forse segnata anche da grosse ingenuità per la pesante ombra dell’asimmetria dei rapporti con la Cina.

L’epilogo europeo del viaggio del presidente Xi Jinping, le polemiche col governo francese e con quello tedesco, ci richiamano comunque alla nuova centralità del Mediterraneo, da molti evocata, e ad una rivisitazione delle istituzioni europee. L’Unione europea, per assurgere ad un nuovo, determinante ruolo deve perciò fare un ulteriore, grande “sforzo creativo” che attinga all’idea elaborata dai padri fondatori, un’Europa di popoli e non di governi e di finanza, terra di pace, sicurezza, inclusività e stabilità, che sappia ridare nuova spinta a quel motore dello sviluppo che l’antica progettualità della Via della Seta sta avviando e che l’Italia della Cappella Palatina, delle ancora modernissime Constitutiones Melphitanae, può degnamente alimentare.

 

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

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