Il predominio dell’Occidente allargato nel settore dell’automotive è oggi seriamente minacciato dall’ascesa dei colossi cinesi, che quest’anno assicureranno al Dragone un nuovo primato: quello di essere il maggiore esportatore di veicoli al mondo. Ecco cosa scrivono i quotidiani stranieri anche in merito alle variabili che si profilano all’orizzonte e che potrebbero minacciare la leadership cinese..
Boom della produzione in Cina
Come scriveva il New York Times qualche giorno fa, proprio nel momento in cui le esportazioni cinesi stanno soffrendo e i consumatori di quel Paese contraggono la loro domanda di beni, Pechino sta letteralmente inondando il mondo con le sue macchine.
La domanda proveniente da Oltreoceano di veicoli made in China a basso costo, composta prevalentemente da mezzi a motore endotermico cui oggi i consumatori cinesi preferiscono l’elettrico, è talmente forte che, notava il quotidiano della Grande mela, “il più grande ostacolo a venderne ancora di più all’estero e la mancanza di navi specializzate a trasportarli”.
Il primato
Adesso il boom della produzione cinese e dell’export è certificato dai dati degli analisti. Già qualche settimana fa compariva sulle pagine di Cnbc la previsione di Moody’s Analytics, secondo cui l’export cinese di auto, nel corso di questo solare, scalzerà quello del Paese che dal 2019 deteneva il primato, ossia il Giappone.
Ieri l’antifona è stata ripetuta dal Financial Times secondo il quale l’export cinese, dopo aver sorpassato quello della Corea del Sud nel 2021 e quello della Germania nel 2022, sta per compiere il giro di boa che scalzerà il Giappone dalla testa della classifica.
Secondo la testata finanziaria, che riporta i dati della stessa Moody’s Analytics, alla fine di luglio 2,8 milioni di automobili prodotte in Cina, di cui 1,8 milioni a motore endotermico, avevano preso la via dei mercati esteri, con un incremento sull’anno precedente di ben il 74%.
Le previsioni
La Cina dunque non solo conquista la vetta, ma, a detta degli analisti, manterrà quella posizione per molti anni avvenire. Secondo la previsione della società di consulenza AlixPartners richiamata dal Financial Times, alla fine di questo decennio l’export cinese di auto toccherà le nove milioni di unità, con una quota sul mercato globale che dal 16% del 2022 raggiungerà il 30%.
Questa ottima performance dovrà parte della sua intensità al boom delle auto elettriche cinesi, molto più economiche di quelle prodotte dalle aziende rivali, un fattore quest’ultimo che che, a detta dell’analista cinese Yuqian Ding, sarà decisivo per la conquista del mercato europeo.
A fare da avanguardia di questa poderosa avanzata cinese ci sono aziende come BYD, il cui fondatore e presidente Wang Chuanfu avrebbe detto agli analisti di Citi di essere “fiducioso” di raggiungere il prossimo anno un target di 400.000 unità esportate, più del doppio di quest’anno.
Ancora più sorprendente è l’analisi condivisa con Citi da Tesla, secondo cui l’industria cinese dell’auto elettrica è, in termini di capacità tecnologiche e di scala, dai tre ai cinque anni avanti rispetto ai concorrenti stranieri, in un vantaggio competitivo che si allunga a dieci anni se si considera il fattore costi.
Incognite all’orizzonte
Ma a mettere a rischio la leadership cinese ci sono una serie di variabili non tutte nel controllo di Pechino.
Se i produttori del Dragone potranno in qualche modo rimediare al problema della mancata riconoscibilità dei brand, non è in loro potere la spinta al protezionismo e al nazionalismo di molti Paesi che ne costituiscono il mercato di sbocco.
L’annuncio della Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen dell’imminente lancio di un’indagine sui sussidi statali alle auto elettriche cinesi è una di quelle notizie che a Pechino avrebbero preferito non leggere.