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Sottomarini Taiwan

Tutto sul programma dei nuovi sottomarini di Taiwan

Come nasce il singolare programma dei nuovi sottomarini per la Marina di Taiwan che oltre a soggetti locali finisce con il coinvolgere, in maniera spesso segreta, tecnici ed ex-Ufficiali di Marina di diversi altri Paesi. L’approfondimento di Giovanni Martinelli

28 settembre 2023, una data destinata a restare letteralmente nella storia delle Forze Armate delle Republic of China (ROC), meglio nota come Taiwan. Quello è infatti il giorno nel quale, presso i cantieri CSBC di Kaoshiung, è stato varato il primo sottomarino costruito localmente e facente parte del programma Indigenous Defense Program (IDS), a sua volta destinato alla realizzazione di 8 battelli in tutto. In altri termini, un’autentica pietra miliare.

Sia perché comunque, al giorno d’oggi i Paesi in grado di costruire autonomamente una simile piattaforma navale sono ancora pochi, sia perché (anzi, soprattutto) la situazione di questa isola è assolutamente peculiare. Come noto infatti, questa nazione vive in una condizione particolare dal 1949 quando a seguito della sconfitta del Kuomintang (Partito Nazionalista Cinese) nella guerra civile contro il Partito Comunista Cinese, i leader e molti appartenenti del primo si rifugiarono su quella stessa isola.

E così che da allora, di fatto, esistono “2 Cine”, e cioè la Repubblica Popolare Cinese e la stessa Repubblica di Cina. Con la prima che diventa sempre più una grande potenza militare e con crescenti velleità di riunire a sé quella che da sempre considera una “provincia ribelle”. Il tutto reso ancora più di complesso da delicati equilibri politico-diplomatici; con Taiwan che spesso fatica a trovare appoggio e supporto (sopratutto in ambito militare) da altri Paesi, sempre attenti non urtare troppo Pechino.

Tanto che, alla fine, sono praticamente i soli Stati Uniti a essere risoluti nel sostenere Taiwan; un sostegno che si traduce anche in sostanziosi (per non dire fondamentali) aiuti militari. E laddove non riesce ad arrivare Washington, per la Repubblica di Cina non rimane altro da fare che sviluppare autonomamente i sistemi d’arma che le servono per contrastare una (sempre più probabile/vicina) invasione da parte di Pechino stessa.

Ed è esattamente questo il caso dei sottomarini in questione. Laddove gli Usa, non costruendo più battelli a propulsione convenzionale da decenni, ovviamente non erano certo in grado di fornirne a Taiwan; e questo mentre altri Paesi potenziali fornitori erano invece impossibilitati a farlo per “timore” di Pechino. È così che nasce questo singolare programma che oltre a soggetti locali finisce con il coinvolgere, in maniera spesso segreta, tecnici ed ex-Ufficiali di Marina di diversi altri Paesi. Si parla cioè “misteriose” aziende di progettazione/consulenza Britanniche, di più che probabili attività di assistenza da parte di ex-dipendenti di cantieri Giapponesi e Sud Coreani (solo ex- …?); e infine, così si vocifera, di possibili contributi di varia natura forniti da soggetti vari provenienti da Paesi quali Australia, India e (forse) Canada nonché Spagna. Insomma, una sorta di “lavoro collettivo”, finalizzato al superamento degli inevitabili limiti di Taiwan in questo settore.

Ma perché la Repubblica di Cina ha impegnato così tante risorse umane e finanziarie in questo programma? La risposta è doppia.

Da una parte ci sono le ovvie esigenze operative legate alla difesa dell’isola in caso di tentativo di invasione Cinese; con i sottomarini a giocare un ruolo importante nell’attacco di eventuali gruppi anfibi di Pechino. Dall’altra, la necessità di rinvigorire la componente subacquea della Marina di Taiwan, oggi ridotta a soli 4 battelli; i 2 della classe Hai Shih usati per soli scopi addestrativi (perché risalenti addirittura alla Seconda Guerra Mondiale) e i 2 della classe Hai Lung (costruiti negli anni ’80 in Olanda) che alla fine rappresentano gli unici assetti pienamente operativi a disposizione della Marina Taiwanese. Evidentemente, troppo poco.

È così che già a partire dai primi anni 2000 comincia un lavoro di studio/ricerca (anche valutando piattaforme “usate”) destinato all’acquisto di nuovi battelli. Quindi, dopo una lunga pausa legata differenti scelte politico-militari, si arriva al 2015 che segna una nuova accelerazione che ha così portato al programma IDS; ufficialmente poi partito pochi anni dopo.

Il primo sottomarino di questa nuova classe, che prenderà il nome di Hai Kung, ha visto infatti iniziare la sua costruzione nel novembre del 2000 mentre la sua consegna è a oggi prevista intorno al 2025. Lo Hai

Kung viene poi visto come una sorta di prototipo (peraltro piuttosto costoso, dato che si parla di oltre 1,6 miliari di dollari per la sua costruzione), nel senso che esso servirà per testare/sperimentare la piattaforma nonché i sistemi imbarcati; ciò in previsione delle future 7 ulteriori unità, che quindi potrebbero anche ricevere modifiche. Se poi tutto andrà secondi i piani, il programma potrebbe completarsi intorno al 2035, con il costo delle restanti unità visto in discesa fino a una media di meno di 1,4 miliardi di dollari a sottomarino.

Riserbo assoluto invece sulle caratteristiche del Hai Kung; tanto che per tentare una breve descrizione tecnica occorre fare comunque un ampio ricorso al condizionale. Da un punto di vista della configurazione generale, questo nuovo sottomarino sembra essere una versione modificata degli Hai Lung già in servizio. In altre parole, si è scelta una strada molto conservativa; riprodurre ciò di cui già dispone (sia pure opportunamente migliorato/aggiornato), senza avventurarsi in piattaforme ancora più moderne/sofisticate e oggi impossibili da costruire per Taiwan.

Per quanto riguarda le dimensioni, le ipotesi più accreditate ragionano di una lunghezza intorno ai 70 metri e un dislocamento di circa 2.500 tonnellate. Anche l’apparato propulsore dovrebbe presentare uno schema “classico”, basato su generatori diesel che caricano le batterie destinate poi a garantire energia per il motore elettrico di propulsione; la novità qui però sarebbe rappresentata dalla adozione delle batterie agli ioni di litio, capaci di prestazioni (soprattutto sul fronte dell’autonomia) elevate.

Al di là però di questo schema generale, nessun altro dettaglio è trapelato; compreso il quadro in termini di prestazioni (che però si può ipotizzare siano paragonabili a quelle delle attuali realizzazioni in questo campo), né sul numero degli uomini di equipaggio.

Buio (quasi) fitto anche sui sistemi imbarcati. Solo qualche indiscrezione che, di fatto, vede gli Usa protagonisti in questo campo; la Lockheed Martin avrebbe infatti fornito il sistema di gestione del combattimento, la L3 Harris i sistemi di comunicazione, quello di gestione della piattaforma e vari altri apparati (tra cui i periscopi) e, infine, Raytheon/RTX i diversi sonar. Per quanto riguarda poi l’armamento, è nota una recente fornitura sempre Usa per i siluri pesanti Mk. 48; mentre non è da escludere anche l’integrazione di missili antinave Harpoon.

In conclusione, si osserva che se da una parte questo programma rappresenta sicuramente un passo importante per Taiwan (sia per gli aspetti industriali, sia per quelli operativi), dall’altra va ricordato che non pochi osservatori e analisti hanno sollevato critiche.

Sotto accusa in particolare è l’ingente esborso economico previsto qualora esso fosse completato nei numeri previsti; con la successiva sottolineatura sul fatto che, di fronte a un possibile massiccio tentativo di invasione cinese, un numero comunque così ridotto di battelli per la Marina di Taiwan poco potrebbe fare. Da qui l’invito a una riflessione per impiegare invece quelle risorse su programmi alternativi; quale, per esempio, una flotta di “droni” subacquei più piccoli e più economici (e più “spendibili”) da riprodurre su grandi numeri.

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