Quando venerdì scorso il Segretario alla US Navy Phelan e il Capo delle operazioni Navali della stessa US Navy l’Ammiraglio Caudle hanno annunciato la selezione del progetto per le future fregate della Marina americana, nonostante l’importanza dell‘annuncio in sé alla fine la sorpresa è stata modesta. E il perché è presto detto, quella scelta era già stata anticipata da siti specializzati USA e (oltretutto) per certi versi appariva perfino obbligata.
Premesso ciò, le future nuove fregate (per ora identificate come FF(X)) della flotta della US Navy si baseranno dunque sul progetto dei cantieri Huntington Ingalls Industries (HII) che ha già dato vita ai 10 National Security Cutters della classe Legend, oggi in servizio nella US Coast Guard.
MA COME SI È ARRIVATI A QUESTA SCELTA?
La domanda, alla fine, è meno banale di quello che si potrebbe pensare. Perché il percorso che ha portato a questa decisione affonda le proprie radici addirittura negli anni ‘90; e, dato ancora più importante, è stato caratterizzato da errori e scelte discutibili che ci hanno condotti fino a questo punto.
Siamo dunque alla fine degli anni ‘90 e, complici i mutamenti strategici, la US Navy incomincia a riflettere sulla composizione della propria futura flotta di superficie; in questo ragionamento complessivo, particolarmente urgente si rivela l’esigenza di sostituire le fregate della classe O.H. Perry che si avviano alla fine della loro vita operativa.
E per farlo, la Marina americana sceglie di percorrere una strada “originale”. Tanto le O.H. Perry rappresentavano la classica fregata da impiegare sopratutto per compiti di scorta e specializzata dell’ASW (Anti-Submarine Warfare), quanto le nuove unità sarebbero state radicalmente differenti, Quelle che infatti diventeranno poi le Littoral Combat Ship (LCS), sono piattaforme di dimensioni relativamente contenute, pensate per l’appunto per operare in ambienti costieri (meno in alto mare), capaci di esprimere grandi velocità e senza una missione predefinita; nel senso che l’idea è di costruire una piattaforma con solo alcune capacità di base (quindi anche poco costosa) e su questa aggiungere specifici “pacchetti di missione” modulari e intercambiabili.
In pratica, ogni singola nave, in teoria poteva svolgere missioni ASW, di contrasto alle mine o di lotta di superficie semplicemente cambiando i “pacchetti di missione”. Le cose però sono andate in maniera diversa; nel senso che fin da subito si sono registrati aumenti di costo, aggravati da una serie di problemi tecnici e deficienze varie. Ma sopratutto, è miseramente fallito il concetto di modularità; con quegli stessi “pacchetti” (composti da sensori e/o sistemi d’arma vari) contrassegnati da uno sviluppo infinito e da risultati inferiori alle attese.
Alla fine, delle 52 navi inizialmente previste ne sono state costruite 35; Per quanto tutte completate, diverse di esse sono già ritirate dal servizio attivo dopo pochissimi anni mentre altre lo saranno in un futuro prossimo. E questo proprio perché considerate, nel complesso, poco utili.
ARRIVANO LE CONSTELLATION
Di fronte di questo insuccesso e alla crescente minaccia Cinese, la US Navy realizza che deve (nuovamente) cambiare strada; è il 2017 e in quell’anno parte la competizione per selezionare una nuova fregata. Ecco così che emerge il primo punto importante e cioè il ritorno a una soluzione più “classica”, rappresentata per l’appunto da una fregata capace di svolgere più missioni, di operare in alto mare e nell’ambito di formazioni navali più complesse.
Il secondo punto importante è invece rappresentato dalla condizione posta per partecipare alla competizione; i cantieri dovranno infatti presentare una proposta basata su un progetto esistente, con navi già anche operative. Qui l’obiettivo è doppio, contenere costi e tempi di costruzione da una parte e scegliere una soluzione più matura possibile.
Nel 2020 arriva la scelta; la US Navy dichiara vincitore Fincantieri Marine Group (il braccio operativo Americano di Fincantieri stessa) con il proprio progetto basato sulle FREMM già in servizio nella nostra Marina Militare (e non solo). Un solo dato per spiegare al meglio le vicende successive; in quel momento, la comunanza tra le FREMM e le future Constellation (questo è il nome della nuova classe di fregate) è pari all’85%. Ciò a dimostrazione del fatto che la Marina Americana, con le sole modifiche strettamente necessarie, avrebbe comunque potuto mettere in mare in poco tempo e con costi accettabili una nave già sperimentata e rispondente alle proprie esigenze; anche accettando qualche compromesso.
Quando invece il 25 novembre del 2025 la US Navy stessa cancella questo programma (limitandolo alle sole prime 2 unità già in costruzione; invece delle 20 ipotizzate), la situazione è radicalmente cambiata; per installare tutti sensori, gli armamenti e i sistemi previsti dalla US Navy, la nave in oggetto viene sottoposta a importanti modifiche (anche strutturali) di ogni tipo. E così, da quell’85% di comunanza si scende al 15%, generando la classica spirale di aumenti dei costi e di ritardo nei tempi di costruzione. Insomma, senza troppi giri di parole, un altro fallimento della US Navy; ancora una volta dimostratasi incapace di definire requisiti operatici realistici e di gestire simili programmi.
L’ULTIMA SPIAGGIA, LA SCELTA DI HII
Doverosamente, si precisa che allo stato attuale le informazioni sono davvero scarse; ricostruire dunque con esattezza il quadro sella situazione sul piano delle scelte fatte dalla US Navy con la scelta di HHI non è semplice. Sennonché, le riflessioni che si possono comunque svolgere già oggi appaiono alquanto interessanti; sopratutto da un punto di vista tecnico-operativo.
Una prima analisi della piattaforma scelta non può non partire dalle caratteristiche degli NSC della classe Legend già in servizio nella Guardia Costiera Americana. La loro lunghezza è di 127 metri, per una larghezza di 16 e un dislocamento di 4.700 tonnellate; un quadro verosimilmente destinato a rimanere inalterato, al netto di un possibile aumento sul dislocamento,
Anche l’impianto propulsivo dovrebbe rimanere inalterato, composto com’è da 2 motori diesel per le andature di crociera e una turbina a gas per gli spunti di velocità; quindi, molto simili per la nuova fregata dovrebbero essere anche i valori proprio di velocità (oltre 28 nodi quella massima) e di autonomia (circa 12.000 miglia, con fino a 90 giorni di permanenza in mare). L’equipaggio potrebbe anche crescere leggermente rispetto ai 113 uomini dei Legend.
Ovviamente, infine, il punto più importante è il sistema di combattimento; già piuttosto sviluppato sugli stessi Legend, nonostante siano “semplici” pattugliatori della Guardia Costiera. Quindi, a livello di sensori e di sistemi d’arma, almeno dai primi render pubblicati, non emergono innovazioni così “straordinarie”. In particolare, viene conservato il pezzo di artiglieria principale da 57 mm. mentre per la difesa di punto il sistema Phalanx viene sostituito da un missilistico RAM; a poppa estrema infine, 8 contenitori-lanciatori per missili antinave NSM.
QUALCOSA NON TORNA
Quella emerge dunque da questa prima sommaria analisi, è una proposta che presenta così molte criticità, Sul piano dei sensori prima di tutto; nella misura in cui non è prevista l’installazione del moderno radar AN/SPY-6 previsto per le Constellation, né risulta la presenza di una suite di apparati per la scoperta/il contrasto ai sottomarini. Di fatto quindi, queste future fregate appaiono fortemente limitate sia sul piano della difesa aerea, sia di quella nei confronti delle minacce subacquee. Tema che si ripropone sul fronte degli armamenti; laddove spicca l’assenza di sistemi di lancio verticali (o VLS) per qualsiasi tipo di missile (in particolare, di nuovo, per la difesa aerea dell’unità) e l’analoga assenza di tubi lanciasiluri.
Di fatto, sulla base di quanto noto a oggi e in maniera per certi versi paradossale, la US Navy mira all’ingresso in servizio di una piattaforma che in realtà ha ben poco della fregata in termini di capacità operative. Anche perché le promesse di future evoluzioni (dall’installazione di VLS all’imbarco di sistemi modulari/containerizzati, fino alla capacità di far operare droni di vario tipo) devono pur sempre diventare ancora realtà.
In altri termini, vista dall’esterno l’intera “operazione” si potrebbe dire che appare perfino più di facciata che altro; troppo condizionata dalla fretta (dato che si vuole mettere in mare la prima nuova unità già nel 2028) e da scelte di politica interna, (da cui l’insistenza su un “prodotto” interamente Americano). Tutto questo però pagando un prezzo sotto forma di capacità operative modeste e di una piattaforma che potrebbe non avere nemmeno quelle caratteristiche di robustezza/ sopravvivenza necessarie nei moderni teatri operativi.







