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Perché il piano industriale di Ita sarà un fallimento

Che cosa non quadra nel piano industriale di Ita secondo l’economista esperto di trasporti Ugo Arrigo Dopo aver esaminato le due decisioni dell’Unione Europea, su Alitalia e ITA, e in altri due interventi la stratificazione normativa che è stata prodotta per guidare il passaggio tra le due aziende, iniziamo ora ad analizzare il piano industriale…

Dopo aver esaminato le due decisioni dell’Unione Europea, su Alitalia e ITA, e in altri due interventi la stratificazione normativa che è stata prodotta per guidare il passaggio tra le due aziende, iniziamo ora ad analizzare il piano industriale di ITA che pochissimi conoscono.
Nei lunghi anni della seconda guerra mondiale il primo ministro Winston Churchill ebbe la necessità di riferire in Parlamento solo in pochissime occasioni in seduta segreta. Ha dunque destato scalpore in chi segue il trasporto aereo italiano che i vertici di ITA, la nuova compagnia aerea del contribuente, abbiano in pochi mesi già superato Churchill per numero di volte in cui han chiesto la seduta segreta alle commissioni parlamentari presso le quali si sono recati per riferire sul loro piano industriale. Quali sono le ragioni di tale scelta? E’ da escludersi che sia per il timore che Michael O’Leary, il capo di Ryanair, possa copiare i piani di ITA in favore della sua azienda così come l’ipotesi che ne possa ricavare informazioni strategiche fondamentali per la sua capacità di competere sul mercato italiano. E riteniamo non sia neppure per evitare che qualche analista indipendente possa segnalare errori macroscopici, lasciati involontariamente cadere da consulenti solitamente costosi nei dettagli della complessità di questi piani.
Nelle pochissime volte in cui Churchill relazionò alla Camera dei Comuni in seduta segreta un corpo speciale di polizia sorvegliava tutti gli accessi e solo i membri che avevano prestato solenne giuramento potevano accedervi. Al termine della seduta tutte le copie della relazione venivano distrutte e solo una lasciata al suo autore per essere custodita nella sua cassaforte. Non sappiamo se sia avvenuto lo stesso anche in relazione alla recente audizione alla Camera dei vertici di ITA ma è indubbio che il piano industriale sia custodito con segretezza equivalente ai discorsi segreti di guerra di Churchill. E’ dunque problematico cercare di evidenziare le criticità del piano di ITA che però nessuno o quasi ha visto, né il piano e dunque neppure le sue criticità. Prima di parlare di esso dobbiamo pertanto chiederci: chi l’ha visto?

CHI L’HA VISTO? (IL PIANO INDUSTRIALE)

Il decreto legge con cui è stata istituita ITA, senza inizialmente indicarne il nome, il n. 18 del 17 marzo 2020, sotto il governo Conte II e nelle settimane drammatiche dell’inizio della pandemia, stabiliva che la newco predisponesse “un piano industriale di sviluppo e ampliamento dell’offerta” da sottoporre all’approvazione sia delle Commissioni parlamentari competenti che dell’Unione Europea. Quando nell’autunno successivo ITA è stata effettivamente avviata, essa ha prontamente predisposto il piano e lo ha inviato il 21 dicembre sia alle due commissioni parlamentari competenti, di Camera e Senato, sia alla Direzione Concorrenza della Commissione UE.
Anche se il piano non era esattamente di ‘sviluppo e ampliamento’ bensì di contrazione e ridimensionamento, solo in parte giustificati dalla pandemia, le due Commissioni si sono espresse in senso favorevole tra fine febbraio e inizio marzo di quest’anno mentre la Direzione UE manifestava già a inizio gennaio una molteplicità di osservazioni critiche. A seguito di esse vi è stata una complessa trattativa che si è chiusa solo il 15 luglio con l’adeguamento del piano ai molteplici paletti posti dall’Unione. Tuttavia la nuova e definitiva versione del piano non è stata trasmessa alle Commissioni parlamentari, che pure avrebbero dovuto esprimersi nuovamente su di esso, e al di fuori del Ministero dell’Economia non risulta essere ufficialmente noto alle istituzioni preposte, tra cui sembrerebbe persino i Commissari straordinari di Alitalia, che sono tenuti dalle nuove norme di legge introdotte a fine giugno a favorire l’attuazione.
Tra la prima versione del piano di dicembre 202o e l’ultima di luglio 2021 esso non è stato tuttavia modificato solo per recepire le richieste europee ma anche per scelte autonome dell’azienda, posteriori al via libera parlamentare. Il piano in sostanza è stato disfatto e rifatto come una sorta di tela di Penelope senza tuttavia poter distinguere tra richieste dell’Europa (per qualcuno i Proci di Bruxelles..) e desideri dell’Italia. Bisogna dunque porre la domanda su cosa ci ha chiesto effettivamente l’Europa e su cosa invece non ci ha chiesto, dato che in quel caso è ancora possibile cambiare qualora lo si volesse.

COSA NON CI CHIEDE L’EUROPA

Sappiamo con certezza da quanto emerso in questi mesi sugli organi di stampa che è stata l’Europa:
1. A permettere il passaggio diretto da Alitalia a ITA della sola parte aviation;
2. A vietare il passaggio diretto del marchio, soggetto a gara;
3. A vietare l’acquisizione del programma di fedeltà Millemiglia gestito dalla controllata Alitalia Loyalty;
4. A richiedere la vendita separata del ramo handling e di quello manutenzioni di Alitalia, permettendo una partecipazione azionaria di ITA maggioritaria nel primo e non maggioritaria nel secondo.
Non risulta inoltre che sia stata la Commissione Europea ad aver impedito il passaggio diretto del personale del ramo volo da Alitalia a ITA, peraltro espressamente previsto sia dalle norme italiane che da quelle UE nel caso dei trasferimenti di rami d’azienda. Allo stesso modo assumere il nuovo personale in base a un regolamento aziendale al posto del contratto collettivo nazionale di lavoro è una libera iniziativa dell’azienda che appare anch’essa non rispettosa delle norme vigenti. Ma l’aspetto più controverso di tutti è dato dalle dimensioni aziendali che il piano assegna a ITA, inizialmente previste in una flotta di soli 52 aerei, di cui solo 7 di lungo raggio. Anche in questo caso non può essere stata l’Europa a chiederlo dato che in tale ipotesi non avrebbe contemporaneamente autorizzato ITA a crescere nuovamente negli anni successivi, secondo le previsioni del piano industriale dello scorso dicembre, sino a tornare nel 2025 esattamente ai 110 aerei che avevano i commissari di Alitalia alla fine del 2020.

COSA HA PORTATO A UN PIANO INDUSTRIALE ‘A FISARMONICA’?

Sappiamo che la flotta di Alitalia al momento dell’amministrazione straordinaria era composta da 118, aerei di cui 92 utilizzati sul breve e medio raggio e 26 sul lungo. A fine 2020 essa era scesa a 110 aerei. ITA intende partire solo con 52, il numero più importante del vecchio piano d’impresa di dicembre 2020 che è rimasto sinora sempre invariato. Perché un numero così piccolo, se non è l’Europa che glielo chiede e se poi intende ritornare a 110? L’unica possibilità per individuare la risposta è di leggere il piano d’impresa e di individuare le motivazioni in esso contenute, esplicite o implicite che siano. E se il piano ultimo è stato secretato, come da prassi, il primo è tuttavia da tempo disponibile sul sito di Report, la trasmissione d’inchiesta della Rai.
Poiché anche il primo piano partiva da una flotta di 52 aerei ne cerchiamo le motivazioni tra le 88 slide, non prima tuttavia di aver ricordato che un piano industriale ‘a fisarmonica’ (prima si riduce drasticamente l’azienda e subito dopo si riprende a crescere) non si è mai visto in un vettore aereo. Infatti, se i concorrenti non si comportano allo stesso modo, le quote di mercato che vengono liberate con questa scelta, e gli slot e la clientela a cui si rinuncia spontaneamente, una volta persi non si recuperano più. Vi sono dunque solo tre possibili interpretazioni a questa scelta: in ITA, e nelle società di consulenza di cui si avvalgono, sono iperaltruisti verso i concorrenti oppure completamente irrazionali, ma è difficile crederci; in alternativa la strategia a ‘fisarmonica’ è giustificata dall’andamento atteso della domanda sul mercato per effetto della pandemia, ma in questo caso si sono clamorosamente sbagliati. La strategia “Noi oggi ci dimezziamo perché la domanda è dimezzata e più avanti ci raddoppiamo di nuovo e torniamo ai livelli della vecchia Alitalia perché la domanda, raddoppiando, ritornerà ai livelli ante covid” funziona infatti solo se la domanda è prevista in maniera corretta. Altrimenti si va fuori rotta.
L’ipotesi che le dimensioni scelte siano proporzionali alla domanda attesa sul mercato sembra trovare conferma alla slide 76 del piano di dicembre. Da essa si desume che il quadro previsionale di ITA sia stato costruito sullo scenario previsivo base di ottobre 2020 della IATA, l’associazione mondiale dei vettori aerei, applicato alle rotte esercitate da ITA. In questo scenario (chiamato baseline review) il traffico atteso è dato nel corrente anno 2021 al 50% dell’anno precovid 2019, nel 2022 al 71%, nel 2023 successivo all’86%, per arrivare infine al pieno recupero del 100% nel 2024. Queste previsioni di un anno fa si sono rivelate realistiche, oppure eccessivamente pessimistiche?

L’ABBAGLIO STATISTICO CHE HA ‘RISTRETTO’ ERRONEAMENTE ITA

Prima di rispondere alla domanda è opportuno prevenire il lettore riguardo a un possibile abbaglio statistico: le previsioni IATA sono valori in media d’anno, comprendono tutti i mesi da gennaio a dicembre. Invece la scelta di ITA di partire con 52 aerei è puntuale e si riferisce alla data del suo debutto. Quindi i due dati non sono correttamente confrontabili. Il confronto corretto è invece quello con l’andamento del mercato nel momento specifico, non con un dato medio su 12 mesi estremamente differenti per restrizioni covid ed effetti della pandemia. Faccio un esempio iniziale con dati del tutto ipotetici, poi andiamo a vedere quelli effettivi: se in gennaio, per via del lockdown, la domanda è al 20% dei livelli precovid e poi cresce linearmente sino a raggiungere l’80% in dicembre, il dato in media d’anno sarà proprio il 50% previsto dalla IATA. Ma ITA che debutta verso la fine dell’anno è opportuno che parta al 50% oppure all’80% della flotta della vecchia Alitalia antecovid? Se parte al 50% e il mercato è all’80% sta regalando quasi il 40% della sua quota di mercato ai concorrenti, i temibili low cost i quali ringraziano e subito si impossessano.
Vediamo ora i dati effettivi. In primo luogo verifichiamo attraverso il Graf. 1 se le dimensioni di ITA previste dal piano d’impresa di dicembre seguono effettivamente le previsioni di domanda della IATA. La risposta è positiva: il dimensionamento della flotta ITA nel tempo è basato sulle previsioni IATA della domanda, tuttavia formulate su dati medi annui.

Nel grafico precedente la scelta dimensionale di ITA, basata su dati annuali, sembra dunque corretta ma se passiamo invece a valutarla sui dati mensili dell’anno in corso essa appare completamente sottostimata. Vediamo infatti nel Graf. 2 la consistente ripresa del traffico nei mesi estivi: dopo essere rimasta tra un quarto e un terzo rispetto al 2019 nei primi cinque mesi dell’anno l’offerta di voli si è rapidamente ripresa sino a portarsi al di sopra dell’80% nel mese di agosto; nelle settimane già trascorse di settembre la riduzione è solo di un paio di punti e nei prossimi mesi la previsione è che non si assisterà a cali consistenti.

Dal grafico è evidente l’errore dimensionale relativo alla flotta di debutto della nuova ITA. Il piano industriale presentato a dicembre 2020 e basato sugli scenari IATA del precedente ottobre prevedeva che ITA decollasse all’inizio di aprile, non a metà ottobre. E grazie al Graf. 2 è evidente come in aprile una flotta di 52 aerei (rappresentata dall’istogramma granata, presente solo da ottobre) fosse congrua rispetto al mercato. Ma in ottobre non lo è più: col mercato che dall’estate è più che raddoppiato ITA non può partire con 52 aerei ma dovrebbe averne almeno 75-80, altrimenti tra pochi mesi farà un grande regalo di Natale ai suoi concorrenti.
Se invece insisterà nel partire con soli 52 aerei vi saranno importanti conseguenze sul mercato italiano che esamineremo nel prossimo contributo. Meglio sarebbe allora se il suo decollo venisse rinviato alla prossima primavera, e il tempo così guadagnato fosse utilizzato per organizzare meglio il passaggio di consegne tra le due realtà aziendali e anche per correggere gli evidenti errori del piano industriale, magari evitando di segretare gli errori che dovessero insistere per restarvi.

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