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Futuro Senza Lavoro

Non solo Volkswagen, ecco come in Germania le Case invocano incentivi

Il punto sulla Germania: gli industriali sbuffano per la riapertura non ancora totale, le Case auto vanno a scartamento ridotto anche per mancanza di componenti e il governo pensa a una legge per l'homeworking (Spd pro)

Dopo giorni di contatti più o meno riservati con il governo, gli industriali alzano la voce chiedendo una strategia rapida e chiara per la riapertura delle attività economiche. Chi credesse che il malcontento del mondo imprenditoriale sia un’esclusiva italiana avrà da ricredersi leggendo le frasi con cui il presidente del potente BDI (Bundesverband der deutschen Industrie), la Confindustria tedesca, ha reagito al prudente piano di allentamento delle misure restrittive annunciato due giorni fa da Angela Merkel.

CHIAREZZA NELLA RIPARTENZA

“Le nostre imprese vogliono e devono sapere in quali fasi dovrebbe ricominciare la vita sociale ed economica”, ha detto Dieter Kempf in un’intervista ai quotidiani del gruppo Funke, “e questo già dal prossimo incontro del 6 maggio tra la cancelliera e i presidenti dei Länder”. Per il capo degli industriali, il compito della politica è di assicurare il più possibile una ripresa rapida e sicura perché un prolungamento del divieto di contatto (la versione morbida del lockdown alla tedesca) provoca una grande perdita di benessere e danni duraturi a economia e società: “Ogni settimana di blocco costa all’economia tedesca decine di miliardi”.

La pressione aumenta, forse per bilanciare il peso che giocano in questa fase scienziati e virologi, che naturalmente suggeriscono cautela nel programma di riaperture. Si è fatta sentire anche l’associazione delle piccole e medie imprese, il Bundesverband mittelständische Wirtschaft (BVMW), il cui presidente Mario Ohoven ha lanciato un drammatico appello alla cancelliera: “Tolga il lockdown prima che sia troppo tardi”! Le Pmi vivono una situazione ancora più difficile: “Nonostante i generosi aiuti di Stato si rischia un’ondata di fallimenti di dimensioni mai viste che può distruggere l’esistenza di centinaia di migliaia di persone nel giro di poche settimane”, ha detto Ohoven. E il vertice della Camera di commercio e industria DIHK (Deutsche Industrie und Handelskammertag) indica la necessità che si ritorni a una situazione in cui la regola sia “l’attività e non la paralisi” e chiede una differenziazione regionale, che non danneggi le aree meno colpite dal virus. I dati sulle richieste di contributi per l’orario ridotto e sulla disoccupazione di aprile (+0,7%) sono un primo segnale difficile, cui si aggiunge la stima del governo su una caduta del Pil del 6,3% per l’anno in corso. Seppure in altri paesi le stime siano peggiori, si tratta comunque del calo più consistente dalla seconda guerra mondiale.

L’INDUSTRIA DELL’AUTO CHIEDE INCENTIVI

Con la proiezione del proprio logo che addentava un virus sui muri della storica sede in mattoni rossi, a simulare il videogioco simbolo degli anni Ottanta Pac-man, la Volkswagen ha riacceso le catene di montaggio nello stabilimento di Wolfsburg. Qualche giorno prima era ripartita la fabbrica di Zwickau. Ma le attività si svolgono a turni ridotti per garantire le obbligatorie misure di igiene e sicurezza. In più scarseggiano i componenti da assemblare provenienti dalle filiere italiane, spagnole ed est-europee e latita la domanda dei clienti. Fino a ieri erano chiusi i concessionari d’auto, oggi che riaprono i potenziali consumatori hanno altre preoccupazioni per la testa, spesso legate al futuro del loro stesso lavoro. E a parte l’americana Tesla, che continua a rifinire la sua prossima gigafactory alle porte di Berlino, i marchi di casa temono l’impasse anche nella sfida dell’innovazione. L’industria automobilistica tedesca, da cui dipendono oltre 600.000 posti di lavoro, è presa nel mezzo di una costosa trasformazione verso la mobilità elettrica e la digitalizzazione (una rivoluzione che abbiamo diffusamente raccontato nell’ultimo numero del quadrimestrale di Start Magazine), ora la crisi potrebbe bloccare molti progetti. La stessa Volkswagen – che in questa rivoluzione vede l’unica possibilità di riscattarsi dal disastro del dieselgate – ha già reso noto che gli investimenti per la guida autonoma saranno rinviati: “Il passaggio ai veicoli a guida completamente autonoma sarà più lungo del previsto, in questo decennio non vedremo i taxi-robot capaci di muoversi senza guidatore in tutte le città tedesche”.

Da qui la richiesta diretta ai presidenti dei cosiddetti Autoländer, cioè le tre regioni in cui risiedono le tre grandi sorelle automobilistiche tedesche (Baviera, Baden-Württemberg e Bassa Sassonia), di finanziare incentivi per l’acquisto di autovetture. Che si tratti di bonus per la rottamazione, che già durante la crisi finanziaria del 2009 furono un salvagente per il settore, o altre forme di stimolo, i costruttori chiedono alla politica di riservare una parte degli aiuti a impulsi per rivitalizzare il settore. Soldi freschi in grado di tenere a galla l’industria più importante del Paese. Tanto più che nessuno vuole rinunciare a distribuire dividendi agli azionisti. “Non elargire dividendi sarebbe una decisione sbagliata”, concorda la presidente della Vda, l’associazione dell’industria automobilistica, “perché c’è tutto l’interesse a tenere gli investitori a bordo per evitare rischi di acquisizioni dall’estero”.

I presidenti dei Länder coinvolti ci stanno pensando, come ha confermato qualche giorno fa il Ministerpräsident della Baviera Markus Söder. E anche la cancelliera, che a dispetto della sua sensibilità ecologista è sempre stata molto disponibile (per i suoi critici anche troppo) verso le richieste dei costruttori, ha promesso aiuti concreti. Ma ha fatto riferimento al piano europeo. Secondo l’Handelsblatt, il commissario al mercato interno e servizi, il francese Thierry Breton, sta studiando la possibilità di riservare all’industria automobilistica il 10% degli aiuti inseriti del programma di ricostruzione. Secondo le stime di Bruxelles, il settore auto è uno dei più colpiti dalla crisi del coronavirus, con un calo del 60% nel primo trimestre 2020 e del 30% nel secondo. E la ripresa sarà lenta.

LA PROPOSTA DEL DIRITTO ALL’HOMEWORKING

Nel mondo post-pandemia novità potrebbero interessare anche il mondo del lavoro. In autunno il ministro competente, Hubertus Heil, vuol portare in parlamento una legge per assicurare ai dipendenti il diritto di lavorare da casa anche quando l’emergenza del coronavirus sarà finita. Una legge che dovrà permettere a coloro che possono svolgere homeworking di lavorare da casa, a tempo pieno o per alcuni giorni alla settimana. E che dovrà contenere allo stesso tempo norme per evitare che il tempo effettivo di lavoro si estenda oltre l’orario stabilito. L’esperienza di questi mesi ha dimostrato che i tempi per il lavoro da remoto sono maturi, ha detto Heil. Sarebbe una rivoluzione con riflessi anche su mobilità e inquinamento: se ne parla da tempo, potrebbe essere arrivato il momento di pensarci davvero. L’accordo in seno al governo non sarà però facile. All’entusiasmo del suo partito, l’Spd, con in testa il ministro delle Finanze Olaf Scholz, non corrisponde quello dell’alleato maggiore, l’Unione conservatrice di Cdu e Csu. Ancora più scettici sono gli imprenditori, che temono nuove regole giuridiche in una fase già di per sé difficile.

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