Il Covid-19 ha prodotto, all’inizio della sua parabola nel 2020, l’effetto shock su scala mondiale. Le metafore belliche, quantunque abusate, ci aiutano tuttavia a visualizzare con immediatezza la situazione e l’effetto trincea illustra bene la reazione umana. La trincea dell’umanità, di fronte all’assalto nemico, è stata il lockdown. Per le attività economiche la serrata.
Tra esse, quella più caparbia con pochi dubbi è avvenuta nel settore del trasporto aereo e, ovviamente, ha coinvolto tutta la catena dell’industria dell’aviazione: dall’estremo downstream dei rivenditori di biglietti aerei al vertice upstream del settore manifatturiero, i due grandi santuari mondiali di Airbus e Boeing, roccaforti della supremazia economica, militare e spaziale dell’occidente atlantico contro le quali prosegue l’assalto sino-russo con recentissimi segnali di crescente aggressività sia nel settore dell’aviazione commerciale con il consorzio Comac, sia in quello spaziale con la cooperazione tra la Cnsa (China National Space and Administration) e la russa Roscosmos.
Nel 2021, contando sull’arma finale contro il virus, i vaccini, i governi si propongono di avviare lo stadio due dello scontro, la controffensiva per una nuova fase di progresso della civiltà umana. Circa tremila miliardi di dollari sono stati stanziati tra le due sponde atlantiche per sostenere questo piano. Correttamente, considerata l’enorme ambizione di questo intento, il focus di tutti è sui grandi temi infrastrutturali.
Nella storia umana il progresso è da sempre fondato sulla premessa di apertura delle vie, da quelle stradali degli antichi romani, a quelle del mare degli imperi iberici, poi britannico, a quelle del ferro che hanno definitivamente sancito il trionfo della rivoluzione industriale, a quelle dell’aria, all’indomani della seconda guerra mondiale, a quelle dello spazio che hanno segnato la vittoria americana nella guerra fredda, fino all’attuale frontiera delle vie digitali. In questo quadro, il destino prossimo futuro del trasporto aereo è un anello imprescindibile della catena. Da esso dipende la qualità della vita in termini di velocità, comfort, raggio operativo e ecocompatibilità degli spostamenti.
La grande serrata del trasporto aereo mondiale è lo stato corrente, quale sarà e come la fase seguente è la domanda che gli osservatori si pongono. Il dibattito è caratterizzato da due effetti speciali, la drammatizzazione e la polarizzazione, una sorta di endiadi utile alla risonanza mediatica delle opinioni, all’incremento dell’audience.
Per ottenerla, l’analisi si concentra sullo stato economico delle compagnie aeree. Il conseguimento di un record ha lo scopo primario di essere battuto da un nuovo record e la frase “il 2020 è stato l’anno peggiore di sempre per l’aviazione civile”, corroborata dalle cifre, 118 miliardi di perdite economiche e – 67% di passeggeri, non è altro che la notarile certificazione, sempre uguale, del nuovo record. Uguale a quella del 1973, del 1991, del 2002, del 2009. È abbastanza ovvio che più si è espanso il settore, maggiore sarà il crollo nella congiuntura avversa.
Il dottore della chiesa nel XVIII secolo, Pietro Crisologo, con la fortunata frase “quanto più in alto un uomo sale, da tanto più in alto cadrà” cristallizzò in sapienza popolare quest’osservazione. Le perdite cumulate di 118 miliardi di dollari del trasporto aereo nel 2020 non sono il problema, magari forse l’opportunità. È ben possibile che, alla fine, saranno contabilmente anche di più e nei prossimi mesi, con la chiusura dei bilanci, lo scopriremo. Queste sono le occasioni, infatti, in cui le aziende sagge e preveggenti ripuliscono i loro libri e il loro patrimonio di tutte le obsolescenze che naturalmente si sedimentano nel corso degli anni. Chi ripulisce la propria casa fa spazio per le nuove opportunità, chi è affetto da disposofobia si allontana dal mondo.
Da italiani ci preme capire cosa accadrà di Alitalia e con essa di tutte le attività nazionali nella grande industria dell’aviazione mondiale. L’accanimento sulle perdite di bilancio nel 2020 è un punto di vista mediaticamente risonante ma privo di ogni funzione euristica e assai miope. La compagnia ha asset modesti, decisamente poveri, pochi aerei, poche competenze, pochi voli, poche basi, scarsa influenza nei sistemi di alleanze, bassa reputazione.
Per dirla con il buon vescovo Crisologo è su un gradino talmente basso della scala che cadendo poco si farà male. Inutile dire che ha poco di tutto, ancor meno utile ostinarsi nell’immaginare di recuperare da quel poco con qualche aereo, qualche volo, qualche alleanza, qualche campagna pubblicitaria in più, condite da un ennesimo taglio all’occupazione e ai livelli salariali. Il futuro prossimo del trasporto aereo mondiale sarà segnato dalle tecnologie ecocompatibili dei reattori, dai nuovi materiali ultraresistenti e ultraleggeri delle cellule, dal superamento degli hub mononodali verso la costruzione di piattaforme intermodali il cui portato sarà una riduzione dell’influenza delle alleanze, dalle competenze digitali dei management in tutti i campi della gestione d’impresa. Alitalia ha poco da difendere, quindi molto spazio per costruire. Essa è come un orologio rotto che, per le circostanze della congiuntura, si trova nel momento in cui segna l’ora più corretta. Ma si tratta appunto di un attimo che fa presto a fuggire.
Orientare il dibattito e l’azione su un campo di gioco ampiamente superato dagli eventi sarebbe l’ennesima prova di una vista, a dirne bene adolescenziale, dello scenario in cui si è chiamati ad agire.
Le speranze sono tutte riposte nel grande capitolo italiano del piano Next Generation Eu, nella visione delle infrastrutture, dell’ecocompatibilità, della sapienza digitale, del balzo in avanti nell’immaginare le nuove vie.