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Città

Nelle linee guida del Mit manca la riforma del trasporto pubblico locale

L'intervento di Marco Foti

Lo scorso 9 settembre il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile, Enrico Giovannini, ha presentato le linee guida sul Tpl alla Commissione Trasporti della Camera. Non proprio un atto di indirizzo ma l’esplicitazione del lavoro svolto in questi mesi caratterizzati dalla pandemia da Corona Virus.

Quattro direttrici di intervento, secondo il ministero, attraverso le quali ristabilire le regole di un settore che, dall’avvio dell’annunciata riforma del Decreto Burlando (1997), attende il salto di qualità.

Il lavoro svolto in questi mesi lo abbiamo appreso, letto, digerito, con i periodici comunicati del Ministero che annunciavano la messa in campo di misure atte a potenziare l’offerta di trasporto, “specialmente nelle ore di punta”, fondi per la compensazione dei mancati ricavi delle aziende e fondi per la fornitura di servizi aggiuntivi.

Il tutto integrato con i tavoli prefettizi provinciali per assicurare la corretta distribuzione della domanda e “ridurre i picchi nelle ore di punta” attraverso lo sfasamento degli orari scolastici e commerciali.

Azioni e misure che, sulla carta, avrebbero consentito una maggiore sicurezza a bordo dei mezzi di trasporto in ambito urbano ed extraurbano. Nell’ultimo anno scolastico non è andata proprio come si aspettava e sperava: le riunioni con le Prefetture hanno creato non pochi problemi con le aziende di trasporto e l’organizzazione scolastica.
Per questo motivo il Ministero ha previsto l’allargamento dell’obbligo di nomina dei mobility manager in aziende e pubbliche amministrazioni con più di cento dipendenti nei grandi comuni. Un obiettivo velleitario visti i risultati del fallimento del Decreto Ronchi (perché, diciamo la verità, è proprio questa la base del nuovo DM) il cui riferimento è datato al 1998.

Le linee guida presentate in Commissione affrontano anche le regole di funzionamento dei trasporti e della sicurezza dei lavoratori, quest’ultimo aspetto però rimandato nei suoi dovuti approfondimenti.

In relazione al funzionamento del sistema del Tpl, in un primo momento il Mims aveva pensato di estendere l’obbligo del Green Pass ai mezzi del trasporto pubblico locale, quindi bus, tram e metro. Tiro subito corretto in quanto non è necessario il certificato verde “In ragione dell’attuale livello di popolazione vaccinata e in considerazione delle evidenze scientifiche sull’assunto dei tempi di permanenza medi dei passeggeri indicati dai dati disponibili, è previsto un coefficiente di riempimento non superiore all’80% dei posti per territori in zona bianca o gialla. In caso di trasporto che interessa più Regioni/Province autonome valgono le prescrizioni applicate nelle zone a rischio più elevato”.

Della riforma del Trasporto pubblico locale neanche l’ombra. A dir il vero è dedicata una slide della presentazione del Ministro in cui si evidenzia l’Istituzione, a gennaio 2021, di una Commissione che “ha predisposto una relazione che offre riflessioni e proposte per aggiornare il quadro normativo sul trasporto pubblico locale, con particolare riferimento al miglioramento della qualità del servizio grazie all’evoluzione tecnologica e alle modifiche degli assetti istituzionali ed economico-finanziari del settore”.

Il Tpl necessita realmente di una vera riforma, e non sulla carta.

Ritengo ormai che non si debba più parlare di servizi minimi ma di “Livelli Essenziali di Trasporto”, al pari di quanto considerato nella sanità. Se la Commissione Europea individua i servizi minimi come quegli “obblighi di servizio pubblico intesi a garantire frequenza, qualità, regolarità per il trasporto sicuro a costi ragionevoli di elevata qualità”, nello stesso modo occorre introdurre il concetto di “Livello Essenziale di Trasporto”, ovvero “prestazioni e servizi che l’amministrazione pubblica è tenuta a fornire a tutti i cittadini” in ragione del rispetto di quel diritto alla mobilità richiamato più volte nella nostra Costituzione (articolo 1, primo comma, articoli 2, 3, 4, 16, 33 e 34).

Per cui la riforma deve prevedere un trasporto pubblico concepito a condizioni accessibili per tutti, integrativo alla mobilità privata utilizzata per recarsi sul luogo di lavoro o per raggiungere l’istituzione scolastica o universitaria o sanitaria oppure anche di svago (visto che la mobilità occasionale ha superato quella sistematica), con forme anche diverse dalle soluzioni tradizionali.

Affrontando per la prima volta nella storia della Nazione la mobilità e le modalità di spostamento delle persone diversamente abili che, secondo una stima del Censis, in Italia sono oltre quattro milioni di cittadini, trend stimato in crescita e pari a 6,5 milioni nel 2040.

Perché, come scrisse il Presidente della Repubblica in un messaggio nella Giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità, “Il livello di civiltà di un popolo e di uno Stato si misura anche dalla capacità di assicurare alle persone con disabilità inclusione, pari opportunità, diritti e partecipazione a tutte le aree della vita pubblica, sociale ed economica“.

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