Il triangolo può essere “maledetto”, come quello celebre e misterioso delle Bermuda. Oppure “amoroso”, ed è subito tradimento. O magari “proibito”, e siamo nel romanzo giallo. Poi c’è il triangolo “no”, alla Renato Zero. Come dare un senso metaforico a una delle figure geometriche più conosciute.
Il triangolo vale anche in politica. Con il ricorso dell’Italia accolto dalla Commissione europea contro i discriminanti divieti dell’Austria sulla circolazione dei Tir lungo l’asse del Brennero, è il momento d’oro del poligono europeo a tre lati Bruxelles-Roma-Vienna. Per la prima volta si profila una svolta finalmente possibile in una contesa che naufragava in un mare di chiacchiere inconcludenti e di misure incompatibili in Europa causando, inoltre, danni ingenti all’economia italiana e internazionale.
Ma c’è una realtà speculare alla versione Bruxelles-Roma-Vienna. La rispecchia il tradizionale triangolo industriale in Italia, che non sorge più, come si pensava, tra Milano, Torino e Genova. Oggi il polmone più produttivo del Paese si trova fra Milano, Bologna e Venezia. Oggi c’è il passaggio a nordest.
A certificare il novello triumvirato dell’economia nazionale è uno studio della Cgia di Mestre, l’associazione di artigiani e piccole imprese che da sempre presta lo sguardo all’Italia che cambia. L’ha fatto, prendendo a misura l’uovo di Colombo, cioè rilevando con pratica evidenza che la quantità dei Tir che ogni giorno percorre l’autostrada Milano-Venezia è doppia rispetto a quella della direzione opposta Torino-Milano.
Il sorpasso riflette una realtà che da tempo segnalava il ribaltone geografico. Per volume di fatturato e ricchezza prodotta, per numero di aziende e lavoratori impegnati s’era capito che l’economia stesse guardando ad est. Se Milano resta il cuore produttivo e finanziario della Repubblica, Bologna e Venezia contribuiscono a farlo pulsare con vigore.
La novità del ruolo trainante dei territori orientali apre grandi opportunità per tutto il Triveneto, e soprattutto per l’Alto Adige, che ne è il più interessato e interessante ponte comunicativo, come testimonia proprio l’andirivieni dei mezzi pesanti, cioè il termometro del cambiamento.
Il modello di sviluppo altoatesino è simile a quello del nordest, dove commercio e servizi, agricoltura e manifattura, trasporti e gestione strategica si combinano e si completano. L’unione fa la forza.
Agganciarsi alla locomotiva del nordest è un atto di pragmatica convenienza produttiva, ma pure una scelta strategica e lungimirante: significa stare dalla parte di dove va il mondo.
Questo spiega le ragioni -stare al passo dei tempi- dell’inevitabile ricorso del governo italiano contro limiti e divieti di transito per i veicoli industriali imposti dall’Austria per tutelare se stessa a prescindere dagli altri, Italia e Germania in particolare, l’Europa di conseguenza. Ma in Europa non vale più la “solitudine tra noi”. Neppure se la canta Laura Pausini.
Le reti infrastrutturali come l’alta velocità, la Tav, l’ammodernamento di porti e aeroporti, l’eterno invocato, ma ancora incompiuto Ponte sullo Stretto sono tutt’uno con lo sviluppo sostenibile. “Comunicare” col mondo nel modo più rapido e rispettoso dell’ambiente possibile, è il principale investimento di qualsivoglia investimento. L’eccellenza del nordest, il “made in Italy” non può restare in Italy per colpa di un incoerente e penalizzante paletto di confine, come ora ha riconosciuto con chiarezza pure la Commissione europea sopra le due parti in contesa.
C’è da sperare che non sarà la causa davanti alla Corte di giustizia (a cui comunque la Commissione ha dato luce verdissima all’Italia), a risolvere il contenzioso anti-europeo. L’accoglimento del ricorso del governo italiano libera da ogni pretesto il necessario confronto diretto fra le parti non ancora in conflitto giuridico. L’accoglimento rende il dialogo più facile e sincero, perché di fatto obbliga all’intesa -altrimenti: Corte di giustizia-, per rispettare la lettera e lo spirito dell’Europa senza barriere e per tutelare la qualità della vita delle popolazioni coinvolte nel traffico dei Tir.
Due Paesi alleati e amici bussano, di là e di qua, alla stessa porta del Brennero: è impossibile che non trovino un accordo per spalancarla in modo giusto per tutti, per far circolare le merci e rispettare gli abitanti. Già sapendo che l’economia non può restare sull’uscio.
Se la porta del Brennero è l’ingresso naturale per la locomotiva del nuovo triangolo produttivo Milano-Bologna-Venezia, l’Alto Adige ha il momento propizio per salire su quel treno in piena corsa non già con l’idea di farsi trasportare comodamente, ma all’insegna di una sfida altrettanto intraprendente: contribuire a indirizzarla, la locomotiva che sbuffa e sbuffa in direzione Europa.
(Pubblicato sul quotidiano Alto Adige)