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Alitalia, ecco perché la piccola Ita non sopravviverà

Che cosa succede ad Alitalia? E la nuova Ita decollerà? L'analisi dell'economista esperto di trasporti Ugo Arrigo

I fatti nuovi emersi nei giorni scorsi su Alitalia sono essenzialmente tre: i) manifestazioni sindacali dei lavoratori, preoccupati per l’aggravarsi della situazione; ii) il fatto che Alitalia non sia riuscita a pagare gli stipendi alla data prevista, ma abbia dovuto ritardarli di alcuni giorni, segno di crescenti tensioni di cassa; iii) un primo vertice dei ministri che hanno competenza sul dossier al termine del quale è stato comunicata l’intenzione di “portare avanti il progetto ITA” e “la volontà di confermare un vettore nazionale del trasporto aereo”. Come si pensa di realizzare questi obiettivi non è stato indicato, tuttavia sappiamo quanto sia complesso. In ogni caso con questa dichiarazione sembra uscire di scena definitivamente l’ipotesi tanto cara ai liberisti seguaci di von Hayek di lasciar fare al mercato e di non spendere più soldi per Alitalia. Intanto si possono non spendere più soldi per Alitalia solo se si è disponibili a spendere molti più soldi per tutelare i dipendenti di Alitalia che rimarrebbero senza lavoro, come abbiamo detto più volte e com’è stato ampiamente dimostrato con il ridimensionamento aziendale attuato nel 2009. È stato un tipico argomento di Keynes sostenere come il libero mercato sia molto costoso per lo Stato nella fasi recessive: non solo esso deve rinunciare a importanti entrate fiscali, ma sborsare anche rilevanti indennità di disoccupazione.

Inoltre, qui non siamo di fronte a un caso di ostacolo al “laissez faire”, nel quale i vincoli pubblici complicherebbero e intralcerebbero l’offerta privata di servizi. È esattamente il contrario, in assenza di intervento pubblico saremmo di fronte a un caso di “laissez non faire”: il mercato non sarebbe servito adeguatamente da operatori privati autointeressati. E se è vero, come direbbe Hayek, che nel lungo periodo la possibilità di voli profittevoli sarebbe in grado di attrarre un numero sufficiente di operatori, questa certezza appare di assai magra consolazione per chi intende volare a breve, una volta superata con le vaccinazioni l’emergenza Covid, per ragioni di lavoro, personali o di vacanza.

Se ai fini della continuità dei voli e di quella degli stipendi dei dipendenti di Alitalia è il breve periodo che conta, e in esso deve essere trovata la soluzione che permetta il passaggio degli asset a una newco, per quanto riguarda invece i conti di questa nuova compagnia e la sua sostenibilità economico-finanziaria l’ottica deve essere necessariamente di lungo periodo. Al contribuente-viaggiatore interessa infatti continuare a viaggiare già nel breve periodo, disponendo di un’offerta adeguata a prezzi ragionevoli, e interessa non perdere soldi nel medio-lungo. Il progetto della newco ITA è in grado di conseguire questo secondo obiettivo?

Il piano industriale, presentato alle competenti commissioni parlamentari e all’Ue sostiene questo, tuttavia la Commissione ha mostrato scetticismo in numerosi punti nella sua lettera dell’8 gennaio scorso al governo italiano. Ma il fattore chiave, al di là delle singole obiezioni specifiche della Direzione Concorrenza, è rappresentato ad avviso di chi scrive dalle dimensioni aziendali. La newco ITA nascerebbe infatti molto piccola, con poco più di una cinquantina di aerei al decollo (ma si è letto anche di soli quaranta), destinati forse a crescere nel tempo. Essi sono meno della metà della flotta attuale di Alitalia, meno di un terzo dell’Alitalia-CAI che decollò nel 2009 e poco più di un quinto dell’Alitalia più AirOne del 2008 che vennero aggregate dai “capitani coraggiosi”. Esse avevano complessivamente più di 240 aerei in un mercato italiano di poco più di 100 milioni di passeggeri annui, nel quale vi trasportarono oltre 34 milioni di passeggeri. Oggi il progetto ITA è di una cinquantina di aerei in un mercato che nel 2019 ante-Covid aveva superato i 160 milioni di passeggeri.

Un vettore così piccolo può sopravvivere in un mercato così grande? La risposta è netta ed è negativa. In nessun mercato europeo esiste un vettore di tipo tradizionale che abbia una quota di mercato così ridotta come l’Alitalia attuale, figuriamoci come possa sopravvivere un vettore con la quota ancora più ristretta ipotizzata per la nuova ITA. Nella tabella sottostante sono riportati per l’ultimo anno disponibile ante-Covid i dati relativi al traffico passeggeri dei principali vettori tradizionali europei in relazione al traffico passeggeri totale del Paese di riferimento. In media i vettori network detenevano il 35% del loro mercato nazionale, con i valori massimi rappresentati dal 64% di Klm in Olanda e dal 48% di Lufthansa in Germania e quello minimo, se si esclude l’Italia, relativo al 23% di British Airways nel Regno Unito. Nell’insieme di tutti i Paesi considerati i vettori tradizionali hanno coperto il 46% del traffico passeggeri complessivo. Alitalia risulta in conseguenza un caso anomalo dato che controllava meno del 14% del mercato italiano. Si tratta di un valore troppo piccolo per garantire la sostenibilità economica del vettore, oltretutto previsto in ulteriore e netta riduzione nel piano industriale della NewCo.

Se Alitalia avesse dimensioni paragonabili agli altri vettori tradizionali europei che detengono la quota minore nel loro mercato nazionale dovrebbe essere in grado di trasportare almeno una quarantina di milioni di passeggeri all’anno, ovvero il doppio di quelli serviti nell’anno ante Covid. Pensare di volare trasportandone poco più della metà è un’illusione irragionevole, destinata a far perdere molti altri soldi ai cittadini italiani.

(qui l’articolo integrale)

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