L’annuncio di una tregua tra Iran e Israele da parte del presidente americano Donald Trump e confermata dalle due parti in causa, è stata accolta come una boccata d’ossigeno dai mercati questa mattina, tutti in rialzo, mentre i prezzi del petrolio sono scesi al livello più basso da oltre una settimana. Sono diminuite le preoccupazioni relative alle interruzioni delle forniture nella regione e c’è ottimismo che la temuta escalation sia stata scongiurata.
Sul terreno restano tuttavia alcune “macerie” economiche che ora gli operatori sperano verranno anch’esse riassorbite nelle prossime settimane, se le probabili trattative diplomatiche dovessero davvero chiudere questo conflitto.
Una di queste conseguenze è stata la corsa al rialzo nei costi di trasporto marittimo. Più che il prezzo del greggio, che già all’inizio di questa settimana aveva registrato un modesto aumento dello 0,7%, a preoccupare gli operatori del settore sono i premi assicurativi per le petroliere: secondo quanto riportato dal quotidiano Handelsblatt, le compagnie assicurative hanno quintuplicato le tariffe negli ultimi giorni. Una dinamica che investe non solo le rotte verso Israele, ma l’intera area del Golfo, con effetti a catena sul commercio globale di petrolio e gas.
STRETTO DI HORMUZ, IL NODO CRITICO DELLA LOGISTICA ENERGETICA
Il passaggio più delicato è quello dello Stretto di Hormuz, la via d’acqua larga 55 chilometri che separa l’Iran dagli Emirati Arabi Uniti. Attraverso questo corridoio marittimo strategico transita circa un quinto del petrolio mondiale: qualsiasi ostacolo alla sua navigazione avrebbe rappresentato un colpo durissimo all’equilibrio dei mercati energetici globali. La minaccia che Teheran potesse chiudere o minare lo stretto era (e fino a fine trattative resta) tutt’altro che teorica. Il parlamento iraniano ha già approvato una mozione per il blocco e, nel caso del riacutizzarsi della crisi, in qualsiasi momento il Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, presieduto da Ali Khamenei, potrà dare il via libera.
Le implicazioni per il settore assicurativo ci sono comunque già state: le compagnie, temondo escalation militari o sabotaggi, hanno rivisto i loro parametri di rischio. Per una petroliera con un valore d’acquisto di circa 126 milioni di dollari, il solo premio assicurativo per una rotta di sette giorni verso Israele è passato dallo 0,2% all’1% del valore dell’imbarcazione, equivalenti a un costo extra di un milione di dollari per viaggio.
I NOLI ALLE STELLE E LE CLAUSOLE DI GUERRA
Non sono solo le polizze assicurative a far salire i costi: anche i noli marittimi hanno registrato aumenti vertiginosi. Secondo l’indice mondiale dei noli VLCC aggiornato allo scorso 19 giugno, i costi per le petroliere in partenza dal Medio Oriente verso l’Asia orientale sono balzati da 10,28 a 15,78 dollari per tonnellata in appena quattro giorni, con un incremento del 20,5% già prima dei bombardamenti statunitensi di domenica scorsa.
Le tariffe giornaliere per i noleggi delle superpetroliere (Very Large Crude Carriers) sulla rotta Medio Oriente-Cina sono nei giorni scorsi quasi raddoppiate: da 30.000 a 60.000 dollari al giorno, secondo i dati della società londinese Clarksons Research. Un contesto che stava per indurre gli armatori ad attivare le cosiddette “clausole di guerra”, che permettono di evitare rotte considerate ad alto rischio. In tal caso, i costi per le deviazioni di rotta sarebbero stati scaricati sugli operatori commerciali, con effetti significativi sull’intera catena logistica. Un’azione che, almeno per il momento, è stata scongiurata.
Durante conflitti precedenti, come la guerra tra Iran e Iraq negli anni Ottanta, misure simili si sono tradotte in oneri pesanti per gli operatori navali. Tuttavia, chi ha continuato a operare in zone pericolose ha spesso registrato margini di profitto elevatissimi, pur esponendosi a gravi rischi operativi.
SICUREZZA A RISCHIO ANCHE SENZA ATTACCHI DIRETTI
Se e quanto tempo ci vorrà perché i costi tornino alla normalità è difficile dirlo, giacché anche in assenza di attacchi militari diretti e almeno fino alla conclusione positiva delle eventuali trattative diplomatiche, le condizioni di sicurezza nel Golfo Persico restano precarie. La collisione avvenuta pochi giorni fa tra due petroliere, la “Front Eagle” e la “Adalynn”, al largo della costa emiratina di Fujairah, ha sollevato nuovi interrogativi. Secondo gli esperti, la causa dell’incidente potrebbe essere riconducibile a interferenze intenzionali nei sistemi di localizzazione GPS delle navi, una tecnica già documentata in passate crisi regionali.
Le tensioni si estendono anche al Mar Rosso, dove le milizie Houthi, alleate dell’Iran e attive nello Yemen, hanno minacciato di colpire le imbarcazioni legate agli Stati Uniti. Dopo un iniziale allentamento delle ostilità, la situazione era tornata a farsi incandescente in seguito agli attacchi aerei israeliani contro l’Iran, con il rischio di un effetto domino che coinvolga altri snodi strategici del traffico marittimo internazionale. E della sensibilità degli Houthi ai giochi diplomatici molti analisti diffidano.
NAVI DIROTTATE E PORTI ALTERNATIVI SOTTO PRESSIONE
L’insicurezza dell’ultima settimana aveva già spinto diverse compagnie marittime a modificare le proprie rotte, nota il quotidiano economico tedesco. Secondo lo specialista logistico statunitense Flexport, si sono registrati ritardi nei tempi di transito e sospensioni precauzionali delle partenze. Le navi, in molti casi, sono state dirottate su percorsi più lunghi e sicuri, con effetti a cascata sulla puntualità delle consegne e sui costi finali.
Anche i grandi operatori europei hanno reagito. La tedesca Hapag-Lloyd ha sospeso i collegamenti con il porto israeliano di Haifa dalla scorsa settimana e ha dichiarato di monitorare attentamente l’evolversi della situazione per adottare misure operative tempestive. Stessa linea per la danese Maersk, che ha valutato la possibilità di sospendere autonomamente il transito nello Stretto di Hormuz qualora le condizioni fossero peggiorare ulteriormente.
Per ora la chiusura di Hormuz non è più sul tavolo e Hapag-Lloyd valuterà con cautela le condizioni per riprendere presto i collegamenti con Haifa. Ma il respiro di sollievo per gli ultimi eventi è grande. I punti critici della regione, che sarebbero potuti essere coinvolti da un’escalation (o che potrebbero esserlo da una ripresa della guerra), non si limitano ai porti israeliani o allo Stretto di Hormuz. L’eventuale chiusura dei porti emiratini di Jebel Ali (Dubai) e Port Khalifa (Abu Dhabi), due snodi fondamentali per la logistica mondiale, avrebbe ad esempio ripercussioni significative. Ogni anno transitano da queste strutture circa 33 milioni di container standard. In caso di blocco, i flussi verrebbero reindirizzati verso porti alternativi come Mumbai o Colombo, con il rischio di congestionamenti e ritardi su larga scala.
Ogni tensione nel Golfo si ripercuote sulla complessa rete globale di circolazione delle merci. Gli operatori commerciali sperano, quindi, che nelle prossime settimane prevalga una soluzione diplomatica per prevenire sia il riaccendersi del conflitto armato che il collasso della logistica marittima internazionale.