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Cina Auto

Gli incroci (pericolosi) tra i costruttori auto europei e la Cina

Sempre più report indicano nei dazi la sola tutela per la difesa della nostra industria dalla baldanza cinese. I marchi tedeschi hanno però troppi affari in gioco con Pechino. E l'automotive tra il Vecchio continente e il Dragone appare sempre più interconnesso. Ma chi ci guadagna?

Se non puoi sconfiggerli unisciti a loro? Per decadi il mondo dell’automotive ha piantato le tende in Cina, intesa e sfruttata come nuovo avamposto industrial-coloniale. Pensavano di fare il colpaccio, i grandi marchi: produrre dove la manodopera costa meno e i diritti dei lavoratori sono inesistenti. Ma Pechino è stata lungimirante, imponendo ai costruttori occidentali joint-venture con realtà locali cosicché assumessero per osmosi tutti i trucchi del mestiere.

In più c’era un mercato immenso da riempire che faceva gola alla nostra industria. C’era, non c’è più: il 50% dei marchi in circolazione in Cina è cinese. Il Dragone si è riappropriato di ciò che è suo. E ora vuole di più. Siamo infatti sul punto di voltare pagina, all’alba di una rivoluzione dell’automotive che andrà oltre l’innovazione dei propulsori, ridisegnando la filiera globale e la Cina è pronta a mettere a frutto quanto imparato in quegli anni espandendosi sui mercati occidentali. E gli europei?

EUROPEI ROSSI DALL’IMBARAZZO

Gli europei si trovano in imbarazzo. Più e più volte abbiamo detto che i marchi tedeschi più di tutti gli altri hanno aperto importanti stabilimenti in Cina: una situazione che oggigiorno rende difficile per l’Ue percorrere strade protezionistiche sulla falsariga dell’Ira di Biden. Qualsiasi misura in tal senso si ripercuoterebbe sugli affari che fanno le principali industrie tedesche nel Paese asiatico.

NIENTE DAZI, SIAMO EUROPEI

Questo nonostante gli allarmi non manchino. Nelle ultime ore, un rapporto di Allianz Trade stima in 7 miliardi di euro i mancati guadagni per i costruttori europei entro il 2030 per la progressiva espansione di quelli cinesi.

Secondo il rapporto di Allianz Trade, i policy makers dovrebbero studiare dazi doganali pari a quelli delle auto europee importate in Cina. Le importazioni cinesi di veicoli elettrici, prevede lo studio, potrebbero costare un totale di 24 miliardi di euro in termini di produzione economica nel 2030, che si traduce in un calo dello 0,15% del PIL in Europa. E le cose andrebbero peggio per Paesi come Germania, Slovacchia e Repubblica Ceca, che rischiano tra lo 0,3 e lo 0,4% del prodotto interno lordo.

IN CINA IL CENTRO BMW PIU’ GRANDE AL MONDO

Ma è difficile mettere d’accordo i 27. Soprattutto per la contrarietà di Berlino che in ballo ha affari che non hanno risentito nemmeno della guerra in Ucraina che ha riportato il mondo a scindersi in due blocchi contrapposti, Est e Ovest. Ne è un plastico esempio la joint venture BMW Brilliance Automotive che si appresta a festeggiare i suoi primi 20 anni di attività (nel Paese il Gruppo produce oltre 800mila veicoli) annunciando investimenti per 10 miliardi di yuan (circa 1 miliardo e 320 milioni di euro) per fare della fabbrica di Shenyang il più grande centro produttivo BMW nel mondo.

A Shenyang BMW assemblerà le batterie di sesta generazione destinate ai modelli basati sulla piattaforma Neue Klasse, che arriverà in Europa tra un paio di anni ma sarà destinata pure al mercato cinese mettendo così in campo una strategia denominata “local for local” che prevede la produzione indipendente di tutti gli elementi principali dei veicolo nel mercato di destinazione. Sulla base della Neue Klasse debutteranno inizialmente due modelli (SUV e berlina) di segmento D, per diventare sei a regime.

Anche i cinesi fanno scouting tra i Paesi europei per portare qui la produzione di modelli elettrici. Byd, per esempio, starebbe valutando cinque candidature: Germania, Francia, Spagna, Polonia e Ungheria. Al Financial Times, il presidente della filiale europea, Micheal Shu, ha detto che l’investimento avrà un orizzonte di decenni: per questo è stato escluso il Regno Unito, alle prese con le difficoltà post-Brexit, mentre sarebbero in corso trattative specifiche con la Francia. L’Italia, inutile dirlo, non fa parte dei piani cinesi.

E GEELY MANGIA ANCORA UN PO’ DI ASTON MARTIN

E se la Brexit spaventa i cinesi, i marchi britannici, in difficoltà per la crisi, invece fanno gola. Succede così che il gruppo cinese Geely abbia impresso una ulteriore accelerazione e, dietro un investimento di 234 milioni di sterline, pari a circa 269 milioni di euro, sia diventato il terzo azionista dell’Aston Martin (ben indebitata) portando la propria quota dal 7 al 17%. L’auto prediletta di James Bond, insomma, parla sempre più cinese: chissà se 007 sarà ancora in grado di attivare tutti quei gadget mirabolanti davanti a un quadro comandi con gli ideogrammi..

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