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Fca e Ferrari, ecco corse e sgommate di Manley e Camilleri (tra Comau e Magneti Marelli)

L'articolo di Luciano Mondellini, giornalista di MF/Milano Finanza

Che sarebbe stato difficile erano in tanti a dirlo. Raccogliere l’eredità di Sergio Marchionne sia nel ruolo di amministratore delegato di Fca sia in quello di ceo della Ferrari è infatti una delle sfide più complicate che il mondo del business a livello mondiale ha presentato in questi anni. E a poco più di 100 giorni dalla scomparsa del manager dal maglione nero (deceduto il 25 luglio), c’è da dire che, per la sorpresa di molti, i titoli delle società da lui gestite hanno in gran parte superato la prova della borsa. Forse perché, come osserva qualcuno, il solco lasciato dal vecchio capo era ben visibile, l’effetto negativo del post-Marchionne si è sentito relativamente sui corsi azionari della galassia (compatibilmente con la situazione generale).

Prendendo come punto di riferimento il 16 luglio, ovvero l’inizio della settimana in cui i rumor sulle condizioni di salute di Marchionne iniziarono a infittirsi, tanto che sabato 21 luglio sarebbero stati convocati i cda straordinari di tutte le società della galassia Agnelli per decidere i successori nei vari ruoli che il manager occupava, si nota come da quel giorno il titolo Fca abbia perso circa il 13%, quello Ferrari il 19% mentre Exor abbia lasciato sul campo poco meno del 12%. Il tutto in un contesto in cui l’indice principale della borsa di Milano, il Ftse Mib, ha ceduto il 14%. Insomma, almeno per quanto riguarda il responso dei listini, a uscirne peggio è soprattutto la scuderia di Maranello, che però è stata protagonista di una crescita praticamente ininterrotta in borsa sin da quando nell’autunno del 2015 è stata quotata, prima a New York e poi, a inizio 2016, anche in Piazza Affari.

(ECCO I PIANI DI FCA SU COMAU)

Nel giugno 2018, all’apice di questa corsa, il titolo della Rossa era arrivato a valere oltre 122 euro prima di avere una flessione sensibile a 108 e poi riprendere a correre sino a 120 euro proprio il 16 luglio, ovvero poco prima delle indiscrezioni sull’aggravarsi della malattia di Marchionne. Se è vero che il nuovo ceo del Cavallino, Louis Camilleri, è quello che meno è riuscito a convincere i mercati tra i successori di Marchionne, è altrettanto vero che ha ereditato una società che stava correndo all’impazzata da oltre due anni e il cui titolo non solo aveva raggiunto i massimi ma aveva anche garantito rendimenti da hedge fund ai propri possessori. Mike Manley, che invece ha ereditato da Marchionne la poltrona più importante in Fca, ha superato meglio la prova del mercato.

E’ vero che Manley ha potuto sfruttare le indicazioni del piano industriale varato da Marchionne il primo giugno a Balocco, ma è altrettanto vero che Manley sinora non ha avuto paura di prendere decisioni importanti (spalleggiato da John Elkann che dopo la morte di Marchionne è sempre più coinvolto nelle decisioni operative per quanto riguarda le controllate automobilistiche). In primo luogo Manley non ha esitato ad abbassare i target 2018 nel suo primo cda da ceo, tenutosi nel primo pomeriggio del 25 luglio, poche ore dopo la morte di Marchionne. Ma soprattutto il manager inglese, con il sostegno non solo di Elkann ma anche del cfo Richard Palmer, è riuscito a vendere la controllata Magneti Marelli per il prezzo che voleva il Lingotto, ovvero 6,2 miliardi. Vincendo di fatto il braccio di ferro con il compratore, il fondo Usa Kkr, che inizialmente non voleva andare oltre 5,5 miliardi.

I primi 100 giorni ovviamente sono un indicatore di brevissimo termine per un settore, come quello automobilistico (sia mass-market che luxury) che si basa su investimenti e su piani industriali almeno quadriennali. E quindi sarà il futuro a decidere se Manley e Camilleri saranno in grado di raccogliere ed essere all’altezza della pesante eredità lasciata loro da Marchionne. In questo quadro però va detto che il numero uno di Ferrari ha già avuto il suo battesimo del fuoco.

(ECCO I PIANI DI FCA SU COMAU)

A differenza del suo omologo al Lingotto, Camilleri non ha potuto seguire un piano tracciato dal predecessore. Marchionne, che sarebbe dovuto rimanere ceo di Ferrari anche per i prossimi anni (in Fca avrebbe dovuto lasciare nella primavera 2019), aveva pianificato di lavorare alla sostanza del piano industriale di Maranello dopo la presentazione di quello di Fca. Ovvero in quei mesi di giugno e luglio che hanno visto prima l’aggravarsi della malattia e poi la morte del manager italo-canadese.

Camilleri ci ha dovuto mettere abbastanza del suo per presentarsi al Capital Markets Day del 18 settembre con il nuovo piano strategico al 2022. Un progetto che punta molto sull’ibrido e prevede investimenti per 3,6 miliardi per lanciare 15 nuovi modelli nel quadriennio. Ma soprattutto un progetto che quel giorno ha convinto immediatamente gli operatori (il titolo era balzato del 4%). Anche se dopo i conti del terzo trimestre (e i ricavi inferiori alle attese dei broker) le pioggia di buy che aveva caratterizzato i report sul titolo della Rossa sino a poco tempo fa si è arrestata. Con più di una casa d’affari che ha iniziato a raccordare una posizione hold sull’azione.

In Fca, Manley ha invece problemi completamente diversi. I dati delle più recenti immatricolazioni ma anche l’analisi dei contributi delle varie aree geografiche all’ebitda del Lingotto hanno messo in luce come la casa automobilistica sia troppo concentrata sulle Americhe (grazie ai numeri di Stati Uniti e Brasile soprattutto) e abbia problemi in Europa.

La cessione della Marelli ha permesso a Manley, oltre che di incassare 6,2 miliardi anche di riportare in Fca Pietro Gorlier, il manager che aveva guidato la società della componentistica negli ultimi anni e a cui ora tocca il compito di rilanciare il Lingotto nella cosiddetta area Emea (Europa, Medio Oriente e Asia). L’operazione Marelli, però, ha anche spinto Fca a concedere ai soci sull’esercizio 2017 un’extra cedola da 2 miliardi oltre al ritorno al dividendo già previsto. Una mossa che però non è molto piaciuta al mercato in un momento in cui molte case stanno facendo sinergie per poter investire il più possibile nelle nuove tecnologie (Volkswagen venerdì 16 novembre ha annunciato per esempio un incremento degli investimenti da 34 a 44 miliardi di qui al 2023).

Proprio in questo quadro, la decisione di distribuire il dividendo aggiuntivo (anziché aumentare la spesa per investimenti) è stata letta anche come la conferma subliminale (emersa tra gli osservatori dopo la presentazione del piano industriale di giugno) che Fca sia sempre alla ricerca del partner giusto con cui convolare a nozze. All’eventuale tavolo dell’m&a, però, difficilmente sarà Manley il protagonista, in quanto toccherà a John Elkann in prima persona, in qualità di proprietario, a dovere trattare. Ma al manager inglese toccherà il compito di far trovare Fca nelle condizioni migliori possibili per poter dare al proprio azionista la maggior forza contrattuale. E sarà lì che si capirà se Manley avrà avuto successo come ceo oppure no.

(ECCO I PIANI DI FCA SU COMAU)

Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza

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