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Tutte le folli sbandate dell’Europa sull’auto

Cosa ha detto Luca de Meo sulla crisi dell'industria europea dell'automobile. L'approfondimento di Liturri

Quando in Europa e non solo, si parla di autovetture, Luca De Meo, anche se ha cambiato settore, è come la Cassazione a Sezioni Unite. Sa di cosa parla ed è autorevole. Perciò meritano un commento le sue parole riportate in un’intervista a Milano Finanza, e riprese qui.

La sua è una critica puntuale della fase difficile dell’industria auto europea, il cui mercato è depresso nei volumi che non sono tornati ai livelli pre-Covid: «“L’industria dell’auto europea sta vivendo una fase complicata legata alla dinamica del mercato e alla domanda depressa da anni, perché il mercato europeo dell’auto è l’unico che non è tornato ai livelli pre-Covid.”».

Ovviamente sa, ma qui è il caso di sottolinearlo, che quella drammatica perdita di volumi è anche il risultato di ben precise (fallimentari) strategie commerciali, quasi tutte finalizzate a vendere vetture più care e con maggiori margini unitari. Peccato che così sia scomparsa una fascia importante di mercato, quella di coloro che non possono spendere più di 10.000 per un’auto.

Ha così tanta nostalgia di quel settore che ci ha pure scritto un libro (“Dizionario sentimentale dell’auto”,) in cui De Meo rievoca la sua carriera e soprattutto va notare che, rispetto ai suoi esordi nel settore, pesa la perdita di 4-5 milioni di vetture annue che oggi limita gli investimenti: «“Quando inizi a perdere quattro o cinque milioni di vetture all’anno fa male, perché non hai risorse per reinvestire.”».

E questa è una conseguenza della scelta commerciale di cui sopra: quando perdi i volumi non hai più la scala dimensionale per sostenere elevati investimenti. E parte un circolo vizioso. Cose che note a tutti i manager, ma che sono state scientemente ignorate.

Ne ha anche per la migrazione verso la trazione elettrica: secondo lui, l’Europa non è pronta per un cambiamento così rapido al 100% elettrico, con le catene di fornitura del tutto inadeguate e propone di democratizzare le tecnologie con auto piccole e competitive: «“L’auto elettrica è una nuova tecnologia e, come qualunque nuova tecnologia, all’inizio è più cara per gli investimenti che comporta. Ma l’industria dell’auto cosa ha sempre fatto nella storia? Democratizza le tecnologie con il tempo, questo è il suo ruolo fondamentale.”».

Questo è un suo vecchio pallino, cioè quello di fare auto più piccole e più abbordabili economicamente. Ma è esattamente ciò che non è stato fatto, anche quando lui era sul ponte di comando.

Sembra piangere sul latte versato quando ricorda che «“Un passo verso l’elettrico poteva funzionare prima di tutto con l’introduzione nelle aree urbane europee ad alta densità abitativa delle piccole vetture elettriche: utilizzando una batteria da 30 kW, invece di metterla da 70 kW, si riuscirebbe a utilizzare un prodotto competitivo, in termini di costi.”».

Per poi mettere un definitivo epitaffio sul transito verso la trazione elettrica: «“È stata presa una direzione che ci mette in un angolo, col 100% elettrico, perché la catena del valore nella supply chain europea non è ancora preparata a fare un cambiamento così rapido. Spero vengano a più saggi consigli.”»

Il problema è che il treno verso la trazione elettrica è ormai partito, creando una duplice serie di danni: ha ritardato l’avanzamento tecnologico del motore a combustione, su cui ancora tanto si poteva investire e ha innescato una impossibile rincorsa sull’elettrico verso i competitor cinesi, detentori di un vantaggio ormai quasi incolmabile.

Con ciò aprendogli le immense praterie del mercato europeo. Una sequenza di errori su cui nelle business school in futuro si terranno dei corsi dal titolo: “tutti gli errori da non fare quando si imposta una strategia competitiva”.

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