Rifiutarsi di garantire l’interoperabilità della propria piattaforma con un’applicazione di un’altra impresa, se si è in situazione di posizione dominante del mercato, può essere abusivo. A dirlo la Corte di giustizia esprimendosi nel caso Enel versus Google (Alphabet).
IL CASO ENEL VERSUS GOOGLE
Nel 2015 Google ha lanciato Android Auto, un vero e proprio ecosistema digitale per dispositivi mobili con sistema operativo Android che permette agli utenti di accedere alle applicazioni presenti sul loro smartphone tramite lo schermo integrato di un’automobile. In questo modo, insomma, i device portatili col sistema operativo “made in Alphabet” possono dialogare con le vetture smart. Allo stesso modo, gli sviluppatori terzi che creano software per Android possono sfruttare tale ponte creando le loro versioni delle proprie applicazioni compatibili con Android Auto usando template forniti da Google.
LA CONTROVERSIA TUTTA ITALIANA
Enel X del gruppo Enel, attiva nei servizi per la ricarica di autovetture elettriche, nel maggio 2018 ha lanciato JuicePass, un’applicazione nata per localizzare tutti i punti di ricarica a accesso pubblico sulla mappa interattiva, informando l’utente sugli orari di accesso e i costi di ricarica, consentendo anche di filtrare i risultati della ricerca in base a disponibilità, potenza, attività commerciali, tipo di stazione e gestore. Nel settembre 2018 Enel X ha chiesto a Google di rendere JuicePass compatibile con Android Auto ma Google ha rifiutato, affermando che, in assenza di un template specifico, le applicazioni di media e di messaggistica erano le uniche applicazioni di terzi compatibili con Android Auto.
LA MAXI SANZIONE DA OLTRE 100 MILIONI DELL’AGCM
Google aveva giustificato il suo rifiuto sulla base di preoccupazioni relative alla sicurezza e alla necessità di allocare in modo razionale le risorse necessarie per la creazione di un nuovo template. Una posizione che non aveva però convinto l’Autorità garante della Concorrenza e del mercato che nel maggio del 2021 aveva sanzionato per oltre 100 milioni di euro – esattamente 102.084.433,91 – le società Alphabet Inc., Google LLC e Google Italy S.r.l. per violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Si ravvisava infatti che attraverso il sistema operativo Android e l’app store Google Play, Google detenesse una posizione dominante che le consentisse di controllare l’accesso degli sviluppatori di app agli utenti finali.
ALPHABET SFAVORIVA ENEL X PER FAVORIRE GOOGLE MAX
Google, rifiutando a Enel X Italia di rendere disponibile JuicePass su Android Auto, per l’Agcm aveva ingiustamente limitato le possibilità per gli utenti di utilizzare la app di Enel X Italia quando sono alla guida di un veicolo elettrico e hanno bisogno di effettuare la ricarica. In questo modo Google aveva altresì favorito la propria app Google Maps, che può essere utilizzata su Android Auto e consente servizi funzionali analoghi all’app dell’italiana Enel X.
Oltre a irrogare la sanzione, l’Authority aveva imposto a Google di mettere a disposizione di Enel X Italia, così come di altri sviluppatori di app, strumenti per la programmazione di app interoperabili con Android Auto. Veniva inoltre sottolineato come, l’esclusione della app di Enel X Italia da Android Auto che perdurava all’epoca da oltre due anni, potenzialmente poteva compromettere in maniera definitiva la possibilità per Enel X Italia di costruire una solida base utenti.
QUANDO PUO’ ESSERE LEGITTIMO IL RIFIUTO
Oggi la Corte ha precisato che il rifiuto “può essere giustificato dall’inesistenza di un modello per la categoria delle applicazioni interessate quando la concessione dell’interoperabilità comprometterebbe la sicurezza o l’integrità della piattaforma”.
LA RISPOSTA DI GOOGLE
Intanto, è arrivata la risposta di un portavoce di Google, che ha commentato: “Abbiamo lanciato la funzionalità richiesta da Enel, nonostante essa fosse rilevante solo per lo 0,04% delle auto in Italia quando Enel l’ha richiesta originariamente. Diamo priorità alla creazione delle funzionalità di cui i conducenti hanno maggiormente bisogno perché crediamo che l’innovazione debba essere guidata dalla domanda degli utenti, non dalle richieste di specifiche aziende. Siamo delusi da questa sentenza, che esamineremo ora in dettaglio”.