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Auto Elettriche

Perché la Cina festeggerà per la diffusione delle auto elettriche

L'approfondimento di Tino Oldani, giornalista di lungo corso, già a Panorama e ora firma di Italia Oggi

Tra le eredità più impegnative che Sergio Marchionne ha lasciato al management Fiat vi è l’auto elettrica. A questa novità il numero uno di Fca non aveva mai creduto per anni, salvo ricredersi un paio di mesi prima di morire, tanto che il primo giugno scorso annunciò un piano di investimenti di 45 miliardi, di cui 9 sarebbero stati dedicati alle citycar elettriche. La corsa all’auto elettrica, per la verità, sta impegnando tutti i grandi produttori di auto nel mondo, e il problema maggiore con cui devono fare i conti è quello della batteria. Il perché lo ha spiegato molto bene in una lunga intervista radiofonica Stefano Passerini, ricercatore italiano che da anni lavora presso l’Helmholz Institute di Ulm, in Germania, considerato uno dei 25 centri di ricerca più influenti nel mondo.

«Fino a dieci anni fa, in Germania, quello delle batterie per l’auto elettriche era una problema che nessuno tra i costruttori di auto si era mai posto», ha raccontato a Oscar Giannino, su Radio24. «Ma a partire dalla crisi del 2008 sono intervenute molte novità in tutti i campi, non solo in quello finanziario. Tra questi, il superamento dei combustibili fossili, riducendo le auto diesel e a benzina. La Germania di Angela Merkel si è posta l’obiettivo di servirsi per il 50% di energie alternative entro il 2050. Il che ha fatto decollare le ricerche in questo campo, sostenute con forti finanziamenti pubblici». Passerini, esperto di sviluppo dei materiali per le batterie al litio, con esperienze prima all’Enea in Italia e poi negli Stati Uniti, è stato tra i primi ad essere ingaggiato in Germania, dove lavorano più di 40 mila ingegneri reclutati in tutto il mondo. Grazie alle continue ricerche, i cui poli di eccellenza sono in Germania, negli Usa, in Giappone e in Cina, si è appurato che le batterie al litio delle auto elettriche sono destinate a durare di più unendo al litio un minerale piuttosto raro: il cobalto. In base ad alcuni esperimenti, le batterie con l’aggiunta di cobalto durano sette volte di più, principio valido sia per le batterie degli smartphone, che per quelle dell’auto elettrica.

La quantità necessaria è ovviamente diversa: nelle batterie di smartphone, tablet e computer bastano pochi grammi di cobalto, al massimo 20 grammi; per la batteria di un’auto elettrica ne servono 14 chili. Il che pone un problema serio: il cobalto non è affatto abbondante nel mondo. E data la formidabile richiesta che ne stanno facendo i costruttori di automobili, assai più famelici dei produttori di cellulari e tablet, il suo prezzo è salito alle stelle, con strappi di prezzo continui. Negli ultimi due anni il prezzo del cobalto è più che triplicato, arrivando a 80 mila dollari a tonnellata. Si stima che il fabbisogno mondiale di questo minerale nel 2020 sarà di 120 mila tonnellate, contro le 109 mila del 2017.

Fra le zone del mondo ricche di cobalto, primeggia il Congo (Africa centrale), dalle cui miniere (dove lavorano 40 mila bambini) si estrae circa il 65% del cobalto a livello mondiale. Una stima Usa calcola che le riserve di cobalto nel mondo siano pari a 7 milioni di tonnellate, di cui quasi la metà nel Congo. Miniere meno ricche, ma non meno importanti, si trovano in Australia e in Canada. La corsa all’accaparramento di cobalto ha spinto il governo del Congo ad annunciare un aumento delle royalties, dal 2 al 10%. Ma questo non ha per nulla rallentato la corsa, che vede impegnati grandi speculatori finanziari come gli hedge fund, i gruppi dell’automotive europei, giapponesi e americani, oltre alla solita Cina.

La maggior parte dell’estrazione è nelle mani della svizzera Glencore, che controlla miniere in Congo, Australia e Canada: ha prodotto 27 mila tonnellate nel 2017, che saliranno a 38 mila nel 2018, per arrivare a 63 mila nel 2020, più della metà del fabbisogno stimato per quella data. Ovviamente la Glencore vende il cobalto a chi glielo paga di più. E il suo maggiore cliente è da tempo la Cina, che si è specializzata nella raffinazione del cobalto, che di solito viene estratto insieme al rame e al nickel. Tanto che il 70% della raffinazione mondiale di cobalto è controllato dalla Cina. Non solo. I legami tra la Glencore e la Cina sono diventati così stretti, che una sola società cinese, la Gem di Shenzen, l’hub cinese delle nuove tecnologie visitato di recente anche da Angela Merkel, ha siglato un accordo per l’acquisto di 52 mila tonnellate di cobalto in tre anni, più della metà di quanto è stato estratto l’anno scorso in tutte le miniere del mondo.

In pratica la Cina ha assunto una posizione di predominio in tutta la filiera del cobalto, dalle miniere (dove va acquistando quote azionarie, e tallona la Glencore con la China Molybdenum) agli impianti di lavorazione del metallo, fino alle grandi fabbriche che producono batterie elettriche e le vendono nel resto del mondo. Basti pensare che tra i suoi maggiori clienti vi è anche la Volkswagen, che ha deciso una robusta conversione al motore elettrico dopo essere stata coinvolta, e severamente sanzionata, per lo scandalo delle emissioni diesel taroccate negli Usa. Il che induce a pensare che anche il gruppo Fca, prima o poi, dovrà fare i conti con lo strapotere cinese nel settore del cobalto e in quello delle batterie elettriche.

Uno strapotere impensabile fino a 15-20 anni fa, quando la Cina era un paese povero, in cui alle aziende occidentali conveniva delocalizzare. Una Cina che ora mette paura perfino a Donald Trump e contende agli Usa il primato economico mondiale. Un primato cinese, che rischia di avere, nell’auto elettrica del futuro, un simbolo tangibile per milioni di utenti nel mondo.

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