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Auto Elettrica Arpat

Che cosa bisbiglia l’Agenzia per la protezione dell’ambiente toscana sulle auto elettriche

Tra le incongruenze europee, l'Arpat sottolinea che nelle fasi produttive dei veicoli elettrici l’energia necessaria provenga ancora per la maggior parte da fonti non rinnovabili. Poi però l'Ente toscano aggiusta il tiro: "La sfida climatica richiede di superare il motore a scoppio in favore del motore elettrico"

“Il passaggio all’elettrico non implicherà sostanziali miglioramenti ambientali”. Finora questa frase è stata pronunciata, qualche migliaio di volte, dai Ceo delle case automobilistiche meno convinte ad abbandonare in tutta fretta i motori a scoppio (come vorrebbe il legislatore comunitario) e da coloro che hanno comunque un qualche tipo di interesse economico nell’attuale filiera. Non era mai accaduto che a scandirla fosse una Agenzia per la protezione dell’ambiente, per la precisione l’Arpat, quella toscana che, in un articolo sulla normativa europea sul clima (il cosiddetto Green Deal europeo che comporta l’obiettivo vincolante di conseguire la neutralità climatica entro il 2050), pone alcune riflessioni che andrebbero senz’altro tenute in considerazione.

Soprattutto se tali improvvise sterzate verso il green vengono effettuate in un periodo storico come quello attuale in cui, sottolinea l’Arpat, “la scelta della Commissione europea di puntare sull’elettrico e quindi sulle fonti di energia rinnovabili, si infrange al momento in cui, si trova costretta a puntare sulle fonti fossili, in vari ambiti (industriali, strategici e civili), per affrancarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia”. “Condivisibile – chiosano dall’ente – è il valore etico della scelta: il clima, però, è istanza globale, non regionale”.

LE BATTERIE SONO DAVVERO PULITE?

“Il report di quest’anno della Goldamn Sachs – ribadiscono dall’Arpat a sostegno della propria tesi – indica come la produzione delle batterie oggi in uso nella maggior parte dei veicoli elettrici, sia concentrata in Cina, Sud Corea e Giappone generi 175 grammi di CO2 per ogni kWh di capacità e che tale tendenza è previsto che non si arresti, considerato che sono Paesi che basano pesantemente il proprio mix energetico sui combustibili fossili”.

Per questo per l’Arpat una legislazione coerente con i principi che oggi spingono a bandire i vecchi motori endotermici dovrebbe allora tassare in modo elevato anche un’auto elettrica costruita fuori dai confini dell’Unione ad esempio in Cina o in Sudamerica, la cui produzione fosse alimentata con fonti di energia fossili. Servirebbe poi “l’adozione di un protocollo che tenga conto proprio delle emissioni “well to wheel” per valutare l’impronta carbonica del ciclo di produzione di ogni modello. Ovviamente tale impronta varia non soltanto in funzione della taglia della batteria ma anche del mix di fonti energetiche utilizzato per produrre l’energia necessaria ai processi di produzione”.

Al legislatore comunitario l’Arpat contesta anche il fatto che “nella stessa votazione in cui si è decisa a tavolino l’eutanasia di cilindri e pistoni, l’assemblea ha votato contro la riforma del mercato delle quote di emissione Ets “Emission trading system” contro il Fondo sociale per il clima destinato alle fasce di popolazione più esposte ai cambiamenti climatici e contro il Cbam “Carbon border adjustement mechanism”, il meccanismo per imporre dei dazi sull’importazione di prodotti non conformi ai parametri europei, rendendo il phase-out del 2035 un’iniziativa incompiuta. La decisione – rilevano da Arpat – appare segnata da una zona d’ombra che risulta difficile dissimulare”.

E poi c’è un ultimo punto. “Il prezzo della decisione di Bruxelles rimarrà tutto sulle spalle dei consumatori: l’automobile tornerà ad essere un privilegio, spingendo ai margini del mercato le fasce più deboli. Considerati i rilevanti aumenti registrati dalle materie prime nel corso degli ultimi due anni, resta difficile pensare che nel breve periodo i costi di produzione delle EV (Electric Vehicle) possano diminuire facendo rilevare quanto la catena del valore sia esposta alle oscillazioni delle speculazioni”.

“È ragionevole pensare – scrivono i tecnici dell’Agenzia -che il loro prezzo non scenderà in modo clamoroso tanto da rendere i BEV-EV un prodotto “mass market” nel medio periodo. Qualsiasi iniziativa rappresentata da aiuti di stato o incentivi, continuerà quindi a essere indispensabile per spingere un interesse destinato a rimanere marginale ancora a lungo. Non è detto che insistere su questa leva sarà sufficiente, come dimostra l’andamento dell’ultima tornata d’incentivi dove i soldi per le termiche sono andati subito tutti esauriti, mentre quelli per le BEV sono quasi del tutto rimasti inutilizzati”.

ARPAT AGGIUSTA IL TIRO

Si tratta di considerazioni importanti, ma che si spingono forse troppo in là se contenute in un articolo di un’Agenzia per la protezione dell’ambiente. Ecco allora che l’Arpat stessa, alcuni giorni dopo, aggiusta il tiro: “Abbiamo dato sommariamente conto degli effetti della decisione della Commissione europea relativa al “Piano dell’UE per una transizione verde”, che impongono utili precisazioni, pur avendo l’Agenzia, nel corso degli anni, privilegiato l’accento sulle opportunità della mobilità elettrica”.

“La decisione dell’Unione europea di fissare il 2035 come obiettivo chiaro e misurabile per uscire dall’era del motore endotermico, non è una scelta ideologica incurante dei rischi, ma una visione proattiva che richiede, tra l’altro, riconversione di processi esistenti e lo sviluppo di nuove filiere di recupero e riciclo delle componenti dei veicoli elettrici e un cambiamento di paradigma che inciderà sui comportamenti individuali e collettivi”, è la correzione di rotta di Arpat. “La sfida, climatica, richiede di superare il motore a scoppio in favore della tecnologia più efficiente e pulita disponibile: il motore elettrico”.

“Un cambiamento – viene nuovamente puntualizzato – che va adottato in maniera graduale e senza indugi . Ma questo percorso deve andare di pari passo con il cambiamento radicale dell’insieme di fonti energetiche utilizzate per la produzione di energia elettrica verso energie pulite e rinnovabili. Questa è la vera sfida che dovrà portare seriamente ad avere effetti sulla produzione di gas serra e conseguentemente sul cambiamento climatico. Questa sfida è stata accolta dall’UE – come si evince dal piano dell’UE per una transizione verde, ma purtroppo si è scontrata con l’attualità della crisi del gas, che ha portato ad un passo indietro fino alla produzione di energia elettrica, mediante combustione di carbon fossile”, ribadisce ancora l’Arpat.

E per placare le polemiche che immancabilmente hanno seguito la prima presa di posizione, l’Arpat sembra quasi costretta a giustificarsi: “L’Agenzia toscana ha già da tempo avviato questo percorso, con un investimento significativo, e ha dato adeguata informazione sulla scelta adottata in materia di mobilità sostenibile . Arpat si è dotata di 11 auto elettriche, destinate ad ognuna delle sedi provinciali, che potranno essere ricaricate grazie alla recente installazione di colonnine/wall-box per la ricarica delle medesime, presso i Dipartimenti provinciali. Le auto elettriche sono finalizzate agli spostamenti nell’ambito delle aree urbane ed in particolare a quelle aree che presentano criticità per l’inquinamento atmosferico. Inoltre, è in fase di progettazione un’indagine che l’Agenzia intende avviare tra il proprio personale, al fine di comprendere in quale misura, l’installazione di ulteriori colonnine per la ricarica di mezzi privati, possa incentivare la modalità a trazione elettrica per gli spostamenti casa-lavoro”. Al netto delle polemiche sollevate, restano però gli interrogativi che insinuano il dubbio che la volontà del legislatore comunitario di procedere con una simile speditezza solo nei confronti dell’elettrico sia una scelta giustificata più da motivi politici che non da ragioni scientifiche.

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