“Guardare in faccia la realtà non è essere anti-italiano. Continuare a non vedere i due milioni di euro al giorno che Alitalia perde è tuttavia molto più anti-contribuente italiano”. Parola di Andrea Giuricin, economista esperto di trasporti, docente alla Bicocca di Milano e in altre università estere. Giuricin è reduce da un confronto franco e tosto con il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.
Ecco la conversazione di Start Magazine con Giuricin.
Prof, perché ha fatto innervosire il ministro Calenda?..
Da esperto è mio dovere fare stime e calcolare come sta andando Alitalia e ho espresso la mia preoccupazione di perdite per due milioni di euro al giorno per il contribuente italiano che ha prestato 900 milioni di euro alla compagnia. Ho twittato questa mia preoccupazione, anche in vista della probabile condanna di aiuto di Stato che rischia di arrivare dalla Commissione Europea e sono stato accusato di anti-italianità. Una discussione surreale, poiché gli esperti devono avvertire dei rischi di spreco di denaro pubblico, come purtroppo sta accadendo in questa lunga vendita.
Il prestito ponte è stato utilizzato o no, secondo lei?
Dovremmo avere i dati di cash flow dell’azienda, ma purtroppo per adesso ci dobbiamo fidare delle rassicurazioni del ministro Calenda. Il punto è che, per un ragionamento per cassa, una compagnia aerea riceve prima i soldi dalla vendita dei biglietti ai passeggeri, mentre paga a due mesi i suoi fornitori. Tuttavia il punto essenziale è vedere l’ultima linea del conto economico e purtroppo questo indica che Alitalia perde, e non poco.
Ma Alitalia continua a perdere? E perché?
La compagnia ha perso due milioni di euro al giorno nel primo trimestre del 2018. Un dato molto preoccupante. Nel complesso della gestione commissariale la perdita è stata di 400 milioni di euro, un dato molto preoccupante. Le responsabilità tuttavia non possono essere ascritte tanto alla gestione attuale, ma ad una situazione molto complicata, dove senza investimenti, il vettore non potrà mai essere competitivo.
Davvero i commissari potevano invertire la rotta dei conti?
Le perdite sono importanti, ma è abbastanza logico che non potessero essere eliminate completamente da una gestione commissariale di una compagnia di fatto “fallita”. Porto spesso un esempio: quando un vettore deve rinegoziare i contratti di leasing degli aerei, i lessor “guardano” la situazione economica della compagnia stessa, e se questa non è buona, faranno dei prezzi più elevati (per il rischio da sostenere).
Ha fatto confronti sull’Ebit delle altre compagnie?
Confrontando Alitalia con altre compagnie tradizionali, la situazione è ancor più complicata. L’EBIT margin nel primo trimestre è stato negativo per il 28 per cento per Alitalia, contro un valore negativo del 2 per cento di Air France-KLM (che è in piena lotta sindacale) e valori positivi sia per Lufthansa che per il gruppo IAG (British Airways, Iberia, Vueling e Aer Lingus).
Ma l’aspetto più preoccupante qual è?
Il dato più preoccupante è che ormai Alitalia è piccolo vettore regionale con circa il 2 per cento della quota europea, e con un fatturato che è il 7,8 per cento di quello di Lufthansa Group.
Quali sono i motivi di queste differenze?
Alitalia è una compagnia piccola, che non fa investimenti e che di fatto ha un network non competitivo per errori derivanti dal passato. Cercare di cambiare la propria struttura di rotte, andando verso l’intercontinentale, è una scelta lunga e dispendiosa. Aprire una rotta lungo raggio, dove ci sono i margini più elevati, ha bisogno di investimenti per miliardi di euro e tempo (affinché una rotta diventi profittevole ci vogliono almeno 24 mesi).
Che conclusioni trarre?
Questa Alitalia non può, senza soldi (900 milioni di euro sono “noccioline” nel mondo aereo e la metà sono stati già bruciati), cambiare il proprio modello di business da sola e questo processo di vendita lunghissimo è la cosa peggiore che poteva capitare alla compagnia.
Quindi?
L’ho sempre ripetuto: più passa il tempo, minore sarà il potere contrattuale nella vendita e cosi è stato. La piccolezza di Alitalia è anche sottolineata dal fatto che il mercato estero (da e verso l’Italia) è ormai coperto da altri operatori. Per esempio Lufthansa group è più grande della stessa compagnia italiana (8,6% vs 8,5%) che è un terzo invece di Ryanair (22,3%).
Chi davvero è interessato a rilevare Alitalia e a quali condizioni?
Ormai sono pochi gli interessati e il potere contrattuale degli acquirenti è sempre maggiore di fronte al governo e alla compagnia sempre più debole. Le condizioni sono sempre più stringenti e l’apertura della procedura di aiuto di Stato contro l’Italia da parte della Commissione Europea rende ancor più debole questa posizione.
Chi può essere interessato a una compagnia che perde 400 milioni di euro e con la “spada di Damocle” del prestito ponte?
Bisogna però ricordare che il mercato italiano interessa eccome: un mercato in forte crescita negli ultimi anni. Lo stesso amministratore delegato di Lufthansa ha detto chiaramente che è interessato ad un’Alitalia ristrutturata, ma i Commissari hanno sempre ripetuto che loro hanno il compito di vendere e non di ristrutturare (come scritto nel decreto dello scorso anno).
Lei quale pensa sia l’approdo preferibile per Alitalia?
Le opzioni sono sempre minori, ma quel che è certo che nel mercato aereo attuale non esiste più una soluzione stand alone per una compagnia piccola e in perdita. Se lo Stato vorrà assumere questa opzione tramite una ri-nazionalizzazione, dovrà essere chiaro che lo farà a spese del contribuente.
Guardare in faccia la realtà non è essere anti-italiano. Continuare a non vedere i due milioni di euro al giorno che Alitalia perde è tuttavia molto più anti-contribuente italiano.