Matteo Salvini ha tradotto con la sua solita ed efficace semplicità quello che il ministro Eugenia Roccella aveva articolato in un ragionamento più pacato e complesso, in cui risuona l’eco della sua interessante appartenenza culturale, una sorta di mix tra radicalismo e cattolicesimo. Secondo il capitano della Lega, invece, bisogna chiamare “la mamma mamma e il papà papà, non genitori uno e due”. E così si chiude la questione gender: una posizione alla Vannacci, potremmo dire, e non per nulla Salvini ha voluto il generale a tutti i costi nelle sue liste europee, chi si somiglia si piglia (non sappiamo però quanto Matteo sia consapevole dei rischi che sta correndo, d’altronde si trova in un cul de sac da cui non è facile uscire).
Il tema del genere, come sappiamo, è tra quelli in cima all’agenda politica, poiché l’Italia si è schierata con i paesi considerati più retrivi nel non accettare la proposta dei belgi, capofila di quelli cosiddetti più aperti e progressisti, secondo la quale bisogna non solo rifiutare qualunque tipo di discriminazione sessuale ma anche promuovere politiche e azioni. Qui parte la netta contrarietà italiana all’uso di farmaci per la disforia di genere nei bambini, alla maternità surrogata e alla equiparazione delle adozioni.
Ma torniamo allo slogan salviniano per riflettere su come tutte le forze politiche su questo tema siano ambigue, talvolta contraddittorie: non per loro colpa ma per la complessità di questa realtà, perché la pretesa di trasformare qualunque tendenza ed esigenza in un diritto riconosciuto per legge è impraticabile. Passiamo, per capire meglio, dal genere al numero, come si diceva una volta scuola: non si capisce per quale motivo, nel momento in cui volessimo concedere a chiunque la possibilità di allevare dei figli più o meno naturali, non estenderla a coloro che vivono in situazioni irregolari e comunitarie.
Forse si reputa necessario ai bambini avere due e solo due figure adulte di riferimento? Ma se la coppia può essere composta da persone dello stesso sesso, allora anche un solo maschio o una sola femmina potrebbe essere in grado di assolvere agli scopi educativi, formativi e di cura. Ancora più pacifica dovrebbe essere la possibilità per gruppi che intendano vivere assieme, e qui si apre uno scenario che va dalla poligamia islamica e mormonica al comunitarismo tante volte ipotizzato e praticato in passato, anche andando indietro nei decenni e nei secoli. Non si riflette mai, cioè, che una volta infranta l’esclusiva della natura, grazie alla modificazione culturale e all innovazione tecnico scientifica, le derive sono incontrollabili.
La questione numero e genere vale anche se riflettiamo sul piano linguistico, dove ogni tanto qualche bella anima intellettuale propone perifrasi, eufemismi, articolazioni per rispettare entrambi i sessi. Non pochi filosofi sostengono che il numero plurale sia un inganno poiché nella realtà non esiste se non l’assoluta unicità di qualunque cosa o persona. Se proprio vogliamo buttarla in fuffa, facciamolo per bene!
Se la politica si arresta alla superficie delle cose è per la sua connaturata ostilità al pensiero e per ragioni di carattere più pragmatico. In particolare, la sinistra sa bene che su questi temi la perplessità italiana rispetto alla fuga in avanti è molto più ampia di quella rappresentata dalla maggioranza di governo. Lo sa anche il Pd, per quanto adesso abbia una segretaria dichiaratamente lesbica.
Sta circolando su Raiplay “Il Signore delle formiche” di Gianni Amelio, film che ne narra la storia di Aldo Braibanti, intellettuale omosessuale processato per plagio: la pellicola è tirata via con qualche stereotipo, ma descrive bene il forte imbarazzo comunista all’epoca, e le cose non sono poi troppo cambiate. Tant’è che nonostante l’abolizione del reato, anche a seguito di quella vicenda, esiste ancora un Comitato antiplagio che ha diffuso proprio oggi i suoi dati sulla credulità popolare. La quale è tanto forte da preoccupare persino il Papa…