I flussi economici della mobilità sanitaria non solo scorrono da Sud verso Nord, ma oltre la metà del valore delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali viene incassata dal privato, infliggendo l’ennesimo colpo alla sanità pubblica.
Non vale per tutte le regioni, ma ecco dove preferiscono migrare i pazienti nella speranza di ottenere cure migliori.
QUANTO INCASSA LA SANITÀ PRIVATA
Secondo quanto riferito dalla Fondazione Gimbe, che ha analizzato la differente capacità di attrazione delle strutture pubbliche e private di ogni regione per le differenti tipologie di prestazioni erogate in mobilità, oltre 1 euro su 2 speso per ricoveri e prestazioni specialistiche finisce nelle casse del privato.
Nello specifico, si tratta esattamente 1.727,5 milioni di euro (54,6%) rispetto a 1.433,4 milioni di euro (45,4%) delle strutture pubbliche.
IL TIPO DI PRESTAZIONI (E IL LORO VALORE)
Complessivamente, l’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital (69,6%) e le prestazioni di specialistica ambulatoriale (16,4%). Il 9,4% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% ad altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso).
In particolare, fa sapere Gimbe, per i ricoveri ordinari e in day hospital le strutture private hanno incassato 1.426,2 milioni di euro, mentre quelle pubbliche 1.132,8 milioni di euro. Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, il valore erogato dal privato è di 301,3 milioni di euro, quello pubblico di 300,6 milioni di euro.
LE DIFFERENZE TRA REGIONI
Tuttavia, come osserva il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta, “il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private varia notevolmente tra le regioni ed è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate, oltre che dell’indebolimento di quelle pubbliche”.
Infatti, accanto a regioni dove la sanità privata eroga oltre il 60% del valore totale della mobilità attiva – Molise (90,5%), Puglia (73,1%), Lombardia (71,2%) e Lazio (64,1%) – ci sono regioni dove le strutture private erogano meno del 20% del valore totale della mobilità: Valle D’Aosta (19,1%), Umbria (17,6%), Sardegna (16,4%), Liguria (10%), provincia autonoma di Bolzano (9,7%) e Basilicata (8,6%).
IL SUD NON PUÒ SOSTENERE L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
“Questi dati, insieme a quelli sull’esigibilità dei LEA, confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del Paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche regioni settentrionali”, afferma Cartabellotta, ricordando che già la mobilità sanitaria interregionale spacca in due l’Italia e che “risulta ai limiti del grottesco la posizione dei presidenti delle regioni meridionali governate dal Centro-Destra, favorevoli all’autonomia differenziata”.
“Una posizione autolesionistica – conclude il presidente della Fondazione – che dimostra come gli accordi di coalizione partitica prevalgano sugli interessi della popolazione”.