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Cosa fanno gli italiani per smettere di fumare?

Che cosa emerge dal primo Rapporto del Censis sul fumo di sigaretta e prodotti senza combustione nel nostro Paese

Gli italiani fumano ma stanno cambiando abitudini. Il primo rapporto del Censis sul fumo di sigaretta e prodotti senza combustione svolto in collaborazione con Philip Morris Italia mette in luce il processo di metamorfosi del rapporto tra cittadini e sigarette tradizionali o prodotti senza combustione. Il focus dell’indagine, che ha coinvolto 1300 utenti, ha riguardato il rapporto tra innovazione e sostenibilità. Tenendo anche contro degli allarmi dell’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità, e la necessità di una “tolleranza zero”. D’altronde, nel mondo i fumatori sono oltre un miliardo, in Italia superano i 12 milioni (12.400.000, pari al 24,2% della popolazione).

I PUNTI SALIENTI DEL RAPPORTO CENSIS SUL FUMO

Come sintetizzato da Ketty Vaccaro, Responsabile dell’Area Welfare e Salute del Censis, l’analisi del Censis per il 2021 ha voluto indagare l’opinione e conoscenze sui nuovi prodotti, dall’altro la percezione su tutti i prodotti del fumo. I dodici milioni e oltre di fumatori indicati sopra sono abitudinari di lungo corso, da circa 23 anni. Mentre il 47,4% fuma da almeno trenta. Quelli tradizionali, oltre i 64 anni d’età, sono in maggioranza donne. Che, quindi, sembrano preferire sigarette ai prodotti senza combustione. Di cui usufruiscono invece più uomini.

Questi ultimi prevalgono anche tra i consumatori di sigarette elettroniche (smoke free), in una media anagrafica di poco superiore ai quarant’anni. Sono il 13,2% del totale indagato, inoltre. Di più: i giovani fumano da meno tempo mentre in generale si registra un livello di conoscenza meno approfondito sugli ultimi prodotti, il che rispecchia le preferenze degli utilizzatori.

FONTI E PERCEZIONI DEI FUMATORI ITALIANI

A livello comunicativo, prevalgono le fonti istituzionali e comunque ufficiali. Quindi: documenti del Ministero della Salute o dell’Istituto Superiore di Sanità. Al secondo posto, segue la consultazione col medico di base, preferita soprattutto per la questione dei rischi del fumo. Anche se, la conoscenza dei prodotti perviene grazie alla comunicazione tra pari, per passaparola. Via internet, invece, è il 23% degli indagati a procedere per informarsi. Quota che per chi fuma sigarette elettroniche sale al 28%. Il fai da te, secondo Vaccaro, andrebbe accompagnato da un livello politico di informazione adeguata.

La percezione del rischio segue il trend graduato della pericolosità dei prodotti. Oltre la metà della popolazione sondata pensa che i prodotti senza combustione siano meno pericolosi, consapevolezza comunque ben presente anche tra i fumatori di sigarette classiche che li hanno provati. I nuovi prodotti in generale vengono percepiti come utili per smettere progressivamente di fumare. Anche la gestualità è un fattore di cui tener conto, così come il rapporto costi-benefici.

VITTADINI: FONDAMENTALE IL COMPORTAMENTO INDIVIDUALE

Commentando i risultati illustrati da Vaccaro, Giorgio Vittadini della Fondazione per la Sussidiarietà ha posto il focus sulla necessità di non perseguire la tentazione proibizionista. “I piaceri, entro certi limiti, sono positivi”, ha detto. E sottolineando la centralità dei comportamenti individuali, ha messo al centro il tema della socialità. “Stare da soli fa fumare di più”, secondo Vittadini. Che accoglie il ricorso al fumo alternativo, che riduce la dannosità e la gravità della frequenza.

Più si è giovani e più si riduce il fumo eccessivo, ha evidenziato il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. E accanto, come fattore di speranza, c’è anche da considerare una informazione contestualizzata e non martellante come per altre cose. Cosa manca? Il ricorso al terzo settore, ai corpi intermedi per far conoscere i comportamenti da adottare. “Perché si fuma, si inizia a fumare?”, ha chiesto retoricamente? Anche veicolare le informazioni con nuovi mezzi, extra tv, aiuta a avvicinarsi ai giovani. Insomma, no al massimalismo e sì anche a un intervento legislativo.

FEDELE: BISOGNA PARLARE DI RIDUZIONE DEL RISCHIO

“Ha senso parlare di riduzione del rischio, che dovrebbe essere inserita tra le strategie di prevenzione”, ha detto Francesco Fedele (Responsabile Prima Cardiologia alla Sapienza di Roma). “Non ci sia solo strategia del sì o no, ci sono anche tante sfumature di mezzo da comunicare perché il problema è complesso. Per smettere di fumare serve gradualità”.

Inoltre, anche per Fedele serve un “appello dal basso, da volontari e comunità scientifiche, al ministero e all’ISS per affrontare il tema della riduzione del danno e del rischio”.

IL VALORE DELLA CONOSCENZA ANCHE LATO MEDICO

Infine, Andrea Fontanella (Presidente della Fondazione Fadoi) e Vincenzo Contursi (Responsabile Scuola di Alta Formazione Siicp) hanno posto l’accento sul valore della conoscenza anche lato medico di ciò di cui si parla. Bisogna far passare con più forza l’importanza della riduzione dei fattori dannosi con i nuovi prodotti.

“Nel 93% dei casi analizzati da Fadoi anche il medico ha smesso di fumare da solo”, ha aggiunto Fontanella. Ricordando che il 97% dei consultati dalla Fondazione ritiene giusto l’interesse delle comunità scientifiche per nuovi prodotti, oltre che da associazioni, pazienti e volontari. La ricerca no profit oggi vale 750 milioni di euro, ma il 90% viene dalle industrie private. 

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