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Cambiamento Climatico Pandemie

Pandemie e cambiamento climatico vanno a braccetto?

Sono già 10.000 i virus esistenti che hanno la capacità di infettare l’uomo, ma cambiamento climatico (e non solo) potrebbero farli essere ancora di più. Lo studio di Nature, l’avvertimento delle Nazioni Unite e quanto costa prevenire la prossima pandemia

 

Ebola, Hiv, influenza aviaria, Sars – e per molti scienziati anche il Covid-19 – sono tutti iniziati con la trasmissione del virus da un animale all’uomo.

Ecco perché, secondo un recente studio condotto dagli scienziati della Georgetown University e pubblicato sulla rivista Nature, è importante intervenire sul cambiamento climatico poiché, costringendo gli animali a cambiare abitudini e habitat, potrebbe favorire nuove pandemie.

COSA DICE LO STUDIO

Nell’articolo si legge che almeno 10.000 specie di virus hanno la capacità di infettare l’uomo, ma al momento la maggior parte circola silenziosamente nei mammiferi selvatici.

Tuttavia, i cambiamenti climatici e territoriali produrranno nuove opportunità di condivisione virale tra specie di animali selvatici precedentemente isolate geograficamente.

In alcuni casi, questo faciliterà lo spillover zoonotico, ovvero il trasferimento di un agente patogeno da una specie a un’altra, e quindi anche dall’animale all’uomo.

Generalmente si tratta di un fenomeno raro, tuttavia, la distruzione dell’habitat, il commercio di animali selvatici e l’agricoltura industrializzata, che portano gli animali ad avere un contatto più stretto con l’uomo, stanno rendendo più facile la trasmissione.

METODOLOGIA

Per lo studio sono stati sviluppati e testati modelli per eseguire simulazioni in un periodo di cinque anni. Le proiezioni si basano sugli spostamenti geografici di 3.139 specie di mammiferi a causa del cambiamento climatico e su che uso verrà fatto del suolo da qui al 2070.

IL COLLEGAMENTO TRA CAMBIAMENTO CLIMATICO E PANDEMIE

Gli esperti prevedono che il riscaldamento climatico e i cambiamenti nell’uso del territorio spingeranno gli animali a spostarsi verso nuovi habitat, molto probabilmente ad alta quota dove le temperature sono più miti, con una ricca biodiversità e densamente popolati, per esempio in Asia e Africa.

Qui, sostiene lo studio, ci sarà una nuova trasmissione di virus anche perché il numero di “primi incontri” tra specie raddoppierà entro il 2070.

“La nostra preoccupazione – ha spiegato Colin Carlson, uno degli autori dello studio – è che gli habitat si sposteranno in modo sproporzionato verso gli insediamenti umani, riproducendo le condizioni innaturali che si possono verificare nei mercati illeciti, le realtà più probabilmente associate all’origine della diffusione di Sars-CoV-2”.

I PIPISTRELLI, SERBATOI DI VIRUS

In particolare, secondo gli scienziati, gli animali più coinvolti nella trasmissione sono i pipistrelli poiché volando anche per grandi distanze hanno più libertà di spostarsi rispetto ad altri animali e inoltre sono “serbatoi” naturali di virus.

“Le nostre simulazioni – ha proseguito Carlson – mostrano che gli impatti più evidenti di questa situazione sono previsti nel Sud-est asiatico, un hotspot globale della diversità dei pipistrelli”.

PREVISIONI

La ricerca afferma che “supponendo che il pianeta si riscaldi di non più di 2 gradi al di sopra delle temperature preindustriali in questo secolo – un futuro previsto da alcune analisi climatiche – il numero di incontri tra specie animali diverse in un unico habitat raddoppierà entro il 2070”, facendo potenzialmente emergere altri 4.500 virus che andrebbero ad aggiungersi ai già presenti 10.000.

“Questo lavoro ci fornisce una prova più incontrovertibile che i prossimi decenni non saranno solo più caldi, ma anche più malati”, ha affermato il co-autore dello studio Gregory Albery.

COSA SUGGERISCE LO STUDIO

Secondo lo studio, i risultati evidenziano un bisogno urgente di unire la sorveglianza virale e gli sforzi di scoperta con indagini sulla biodiversità che tracciano gli spostamenti di gamma delle specie, specialmente nelle regioni tropicali che ospitano la maggior parte delle zoonosi e che stanno vivendo un rapido riscaldamento.

NON SOLO CAMBIAMENTO CLIMATICO

Già nel luglio 2020, le Nazioni Unite avevano scritto un rapporto per avvertire dell’aumento di malattie trasmesse dagli animali agli esseri umani.

Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e l’Istituto internazionale di ricerca sul bestiame (ILRI) hanno identificato altre cause ambientali che aumentano la diffusione di virus: maggiore domanda di proteine animali, estrazione di risorse naturali, urbanizzazione, agricoltura intensiva e insostenibile, sfruttamento della fauna selvatica, aumento dei viaggi e dei trasporti di massa, cambiamenti nell’approvvigionamento alimentare e cambiamento climatico.

UN FALLIMENTO PER L’UOMO

“La scienza è chiara: se continuiamo a sfruttare la fauna selvatica e a distruggere i nostri ecosistemi, allora possiamo aspettarci di vedere un flusso costante di queste malattie saltare dagli animali all’uomo negli anni a venire”, ha detto il direttore esecutivo dell’UNEP Inger Andersen.

“Siamo stati avvertiti dell’attuale pandemia ma abbiamo ignorato i segnali, il problema adesso non è se accadrà ma quando succederà di nuovo. Una nuova pandemia – ha aggiunto – sarebbe un fallimento umano, che noi saremmo costretti ad affrontare senza essere preparati. Per prevenire future epidemie, dobbiamo diventare molto più attenti a proteggere il nostro ambiente naturale”.

QUANTO COSTA PREVENIRE LA PROSSIMA PANDEMIA

Una ricerca pubblicata l’anno scorso e citata da Axios ha scoperto che il prezzo per prevenire la prossima pandemia – rallentando la deforestazione e regolando il commercio della fauna selvatica – potrebbe essere di soli 22 miliardi di dollari all’anno, che equivale circa al 2% dei costi economici e di mortalità in risposta al Covid-19.

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