Quando assunse la guida del Ministero dell’Istruzione il Prof. Patrizio Bianchi disse che avrebbe voluto una “scuola affettuosa”. Ora che se ne va per le dimissioni del Governo, la lascia “litigiosa e insoddisfatta”.
All’avvio del nuovo anno scolastico manca meno di un mese ma si teme che – al netto delle varianti Covid con relativa organizzazione di specifiche e aggiornate misure di profilassi per alunni, docenti e personale (tra cui i lavoratori fragili rimasti senza tutele) – inevitabilmente si dovrà fare i conti con i problemi di sempre: carenze di organici, ritardi nelle nomine, classi pollaio, disabili senza sostegno, crescente doppia burocrazia che sommerà come sempre quella delle circolari ministeriali a quella dei progettifici della scuola dell’autonomia. Il disegno di una scuola 4.0 nell’ambito del Pnrr ha peccato di eccesso di annuncio: per adesso si prende atto della nascita di un nuovo organismo nella pletora già soffocante di quelli esistenti, la “Scuola di alta formazione e formazione continua”, che affiancherà le Direzioni generali e i Dipartimenti esistenti, dovrà coordinarsi con le scuole del territorio e si avvarrà della consulenza di INDIRE e INVALSI.
Il nome è roboante ma prelude ad un palinsesto faraonico per dispensare formazione on line, attraverso enti e associazioni che si avvarranno di autosedicenti esperti, con il rilascio di patentini di idoneità pedagogica e aggiornamento didattico. Esattamente il contrario di ciò che servirebbe alla scuola militante: un robusto paracadute da usare in situazioni ad alto tasso di problematicità educativa, in genere in classe.
E’ sulle fatiche della didattica in classe che bisogna investire per aiutare gli insegnanti: il metodo non è aggiungere ma togliere burocrazia e adempimenti ridondanti, fare in modo che docenti e alunni vadano a scuola volentieri, sfrondando orpelli inutili e migliorando la relazione tra insegnamento e apprendimento.
Su indicazione del Prof. Bianchi il Governo introduce ora, in modo estemporaneo, al di fuori di ogni logica contrattuale e di ogni metodo di ascolto della base scolastica e delle OO.SS. , una figura che trasuda demagogia e approssimazione, una sorta di contentino all’U.E. che sollecitava da tempo generiche differenziazioni all’interno delle figure professionali della scuola: viene chiamato “docente esperto” ma è tutto da inventare. Non dobbiamo scimmiottare i sistemi scolastici esteri riempiendo il frasario quotidiano di anglicismi, neologismi, sigle, formule, algoritmi: se mai invece rafforzare e migliorare la nostra tradizione didattica. A quasi mezzo secolo dai Decreti Delegati, che avevano avviato un nuovo modello di sistema scolastico, previa consultazione e concertazione attuata con tutte le componenti professionali e sociali- su cui solo a distanza di tempo si possono esprimere ponderate valutazioni di merito – quell’organigramma che si basava sulla connotazione specifica dei ruoli e delle funzioni monocratiche e collegiali viene ora intaccato dall’introduzione di una figura nuova, ope legis, caduta dall’alto, che suscita perplessità rispetto alla ottimizzazione del pubblico servizio scolastico, alla sua utilità nell’economia di un contesto ordinamentale configurato e testato, per migliorare la qualità dell’efficienza-efficacia del prodotto finale. Da tempo la burocrazia è una palla al piede della scuola che necessiterebbe di una vigorosa cura di semplificazione normativa, non fosse altro che per restituire ai docenti quella libertà di insegnamento, intesa come libertà di metodo, di cui sono costituzionalmente titolari. A voler immaginare quale ragione abbia indotto il Ministro Bianchi a questa originale pensata verrebbe da dire che potrebbe essere l’incipit ad una differenziazione della funzione docente, ma non se ne comprende l’utilità pratica.
Questo docente in che ambito tematico e professionale sarebbe definibile come esperto? Con quali esiti e vantaggi per l’istituto scolastico? Esperto è aggettivo derivato dal sostantivo esperienza: dovremmo dunque credere che egli diventerebbe tale dopo la frequenza di tre corsi triennali on line di formazione?
E chi sarebbero mai i formatori? Si presume soggetti più esperti di lui, da cui dovrebbe apprendere l’abc di questa nuova qualifica che lo renderebbe un riferimento consultivo e orientativo per i colleghi. Ma il nostro sistema scolastico prevede che le stesse funzioni di dirigente scolastico e di ispettore siano una differenziazione funzionale, previa selezione concorsuale, della funzione docente.
E’ vero che un tempo i direttori didattici e i presidi erano depositari di una sapienza pedagogica che li rendeva guida e riferimento per i propri docenti. Dovremmo dunque sospettare che il docente esperto surrogherebbe queste competenze ancora in capo ai dirigenti scolastici, per lasciar loro solo compiti e funzioni meramente burocratici ed organizzativi? Ma come si giungerebbe ad acquisire la qualifica di docente esperto, uno per ogni istituzione scolastica? Solo dopo tre corsi di formazione triennali, quindi, a regime tra nove anni. Nulla si dice circa il modello formativo che sostanzierebbe il know how professionale di questa figura. Si sa invece che sarà molto ambita per il fatto di essere incentivata con un assegno annuale ad personam di 5650 euro l’anno. Molti saranno i postulanti, uno solo l’eletto: con quale criterio di individuazione ed attribuzione di tale incarico? Una grana in più per i dirigenti scolastici che portano sulle spalle il macigno di un Ministero tra i più verticistici e burocratizzati, dove vengono partorite idee cervellotiche e spesso estemporanee, ispirate al nuovismo, forse allo scopo di giustificare la propria sussistenza, e poi riversate nelle scuole dell’autonomia per diventare la miniaturizzazione istituzionale decentrata dell’apparato centrale-nazionale.
Le stesse OO.SS della scuola hanno espresso riserve e dubbi su questa operazione di ‘facciata’.
“Il governo trova nuove risorse per finanziare la figura del docente esperto, un meccanismo selettivo dei prof che riguarderà solo 8mila lavoratori all’anno e che la categoria ha già bocciato con lo sciopero generale del 30 maggio scorso – è la critica che arriva dai segretari generali di Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Gilda Unams e Snals Confsal – Si trovano i soldi per tutto tranne che per il rinnovo del contratto nazionale. Vogliamo lo stralcio del provvedimento delle misure che riguardano la scuola, che vanno riportate a materia contrattuale, individuando le risorse per chiudere il negoziato per il contratto di un milione di persone”.
Il fatto che questo lascito il Ministro Bianchi lo consegni alla scuola 4.0 del Pnrr mediante il “Decreto aiuti bis” induce a pensare più ad una nuova figura di docente tutta da inventare, introdotta con urgenza sospetta, che a qualcosa di cui veramente la scuola, in questo momento necessita.
Il docente esperto fa pensare ad una sorta di ciliegina sulla torta di un sistema di reclutamento e formazione del personale insegnante che invece va ricostruito alla radice, a partire dalla preparazione scolastica secondaria ed universitaria dei futuri maestri e professori.
Non convince la strada intrapresa da alcuni anni e con sempre maggiore intensità dagli inquilini di Viale Trastevere: quella di centrare la formazione in servizio dei docenti attraverso corsi improvvisati ed effimeri, gestiti spesso da personale distaccato o da anni assente dalle aule scolastiche. Né soddisfa i requisiti di una buona, completa, integrale formazione la creazione di corsi basati su test e questionari da compilare on line. I migliori insegnanti sono quelli che sanno declinare e coniugare una sapienza antica, iniziata dalla loro stessa formazione scolastica con la capacità di esprimere solide competenze, creatività, pensiero divergente. La libertà di insegnamento è un principio costituzionalmente garantito e non potrà mai essere assoggettata alla valutazione di qualche collega certificato esperto solo per aver completato un ciclo di formazione virtuale.
Né i dirigenti scolastici possono ‘cedere’ la componente didattica della loro funzione.
Lascia dunque perplessi questa gerarchia che verrebbe introdotta sulla base di un expertise conseguito in navigazione solitaria, dopo nove anni di formazione teorica.
Nel frattempo la scuola militante va avanti e deve affrontare quotidianamente una complessità di problematiche sempre nuove ed evolute, che non potranno essere risolte da un “Elevato” che dispensa consigli a destra e a manca.
La forza della funzione docente sta nella sua unitarietà di ruolo, la sua centralità nell’adempimento di compiti formativi non ammette gerarchie organizzative poiché non esiste una corrispondente gerarchia all’interno del concetto di cultura, ereditata , rielaborata e trasmessa.
Di istituti di formazione e valutazione ce ne sono già fin troppi e creano a volte più intralci di quanto possano aiutare. Sulle riviste scolastiche si leggono lettere di insegnanti che lasciano la scuola a fine carriera, esausti e storditi dal nuovismo dilagante, dai luoghi comuni circolanti, dalle vessazioni burocratiche di circolari a manetta, riunioni ridondanti, adempimenti inutili, diagrammi indecifrabili.
In genere rimpiangono la scuola dove potevano esprimere il proprio valore ma ne sono usciti – alla fin fine delusi e amareggiati- nonostante la grande soddisfazione che concede l’insegnamento.
Introdurre una nuova figura la cui utilità è tutta da dimostrare crea ulteriori disagi, suscita confronti e ingiustizie, sollecita contenziosi.
Per favore, restituiamo serenità a chi svolge questa delicata professione, con pragmatismo e buon senso.