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Scuola

L’istruzione ha più bisogno del merito o della competenza?

Rispettare i criteri di merito significa assecondare il metro di misura che assegna la porzione prestabilita di un guadagno sociale a colui o colei che osserva le condizioni imposte per ottenerla sottomettendosi al giudizio di conformità emesso da chi ne ha l’autorità e il potere. Alla faccia della creativa intelligenza e in ode a un conformismo spietato. L'intervento di Alessandra Servidori, docente di politiche del lavoro

 

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che ha modificato aggiungendo alla denominazione ministeriale “merito” riconduce questa scelta all’art. 34 della Costituzione che recita “i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” perché la scuola italiana torni a essere un ascensore sociale per gli studenti, per sviluppare crescita individuale e collettiva.

E però la citazione del merito come strumento per la realizzazione di una società, cominciando dall’istruzione, senza privilegi dove si è considerati per quel che si vale perché a tutti sia data una parità di trattamento fondata su criteri obbiettivi, è un obiettivo di socialdemocrazia di grande forza, non c’è dubbio, ma bisogna capire come viene calcolato il merito e la sua graduatoria nonché il criterio metodologico trasparente nella prassi sociale e nel caso istruzione in grado di promuovere le qualità personali e riconoscerne dunque il valore.

La parola merito deriva dal latino meritum che significa “compenso, servigio, guadagno” ed è naturale chiedersi se nel caso istruzione il merito può assumere partendo dalla scienza linguistica una declinazione significativa senza poi tendere verso la meritocrazia. Il meritum è il sostantivo del verbo merere, assegnare una porzione spettante di un tutto che viene data a qualcuno in ragione dei servizi prestati verso l’autorità che ne ha facoltà di assegnarli, su criteri di pregi e difetti secondo un metro di valutazione, e il valore della persona di qualità è pertanto un caso e non una causa di merito. E si misura, al contrario, per criteri classificati come de/meriti perché considerati come disvalori.

Il merito dunque non rappresenta un criterio di valorizzazione della persona dello studente autonomo dal tracciato prestabilito che ogni società storica e le sue regole socio culturali contemplano fuori da ogni libertà di espressione e azione. Rispettare i criteri di merito significa assecondare il metro di misura che assegna la porzione prestabilita di un guadagno sociale a colui o colei che osserva le condizioni imposte per ottenerla sottomettendosi al giudizio di conformità emesso da chi ne ha l’autorità e il potere. Alla faccia della creativa intelligenza e in ode a un conformismo spietato.

Ma l’istituzione scolastica e formativa ora è in grado di stabilire dei criteri validi di educazione (formazione a una nuova cittadinanza) e di istruzione (alfabetizzazione culturale) in grado non solo di qualificare in termini adeguati gli impegni promozionali del sistema formativo, ma anche di dare forma e sostanza all’idea della scuola come comunità professionale che “parla i linguaggi della collaborazione creativa, della condivisione responsabile, della reciprocità intellettuale e dell’aiuto leale nel perseguimento di compiti comuni della persona” che il liberalismo nelle sue varie declinazioni sociali difende?

Se veramente fossimo in una stagione illuminata e progressista, in un’ottica ispirata al liberalismo democratico è opportuno sopperire a carenze dei meriti valutando invece la competenza della persona che diventa allora soprattutto e anche l’apprendimento di un comportamento virtuoso, la capacità di reazione e soluzione di problemi di emergenza e risposte di possibili situazioni, soprattutto oggi in cui l’era dell’innovazione digitale e ambientale ha prepotentemente assunto un ruolo determinante nella vita e nel lavoro dei nostri giovani.

La competenza peraltro non esula dal merito se esso appunto non la libera dai lacci dei vincoli di condizionamento ideologici che troneggiano nel politically correct. Se l’apprendimento è il cuore dell’attività produttiva, la competenza è il risultato di quella attività realizzata in un’immaginaria “fabbrica” dove la materia prima per eccellenza, quella “grigia”, viene trasformata durante la produzione/apprendimento grazie alla fusione di conoscenze ed esperienza.

Questo processo di “fabbricazione” si compone di numerosi e differenti elementi che contribuiscono alla costruzione delle nostre competenze: dall’istruzione scolastica e universitaria che orienta e si integra con i primi impulsi giovanili, dal contesto di lavoro che produce una gran parte di quella competenza e incide nella nostra esistenza relazionale, all’innovazione che ormai travolge la quotidianità di ogni nostro atto.

La ricerca di una formazione completa è molto più complessa oggi che nel passato: il sapere formale certificato è diventato indispensabile per accedere alle alte cariche dirigenziali, mentre l’esperienza diretta lavorativa non riveste la stessa importanza. Connettere conoscenze e competenze rappresenta perciò una delle più grandi sfide del nostro futuro. Un percorso necessario per la creazione di una classe dirigente più autonoma e responsabile. La competenza assicura alle persone e soprattutto ai nostri giovani un margine di libertà nelle scelte personali.

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