Lo scorso novembre un adolescente del Canada, che ha cercato assistenza medica per congiuntivite e tosse, è stato messo sotto ventilazione artificiale ed è rimasto in terapia intensiva per settimane perché è risultato positivo all’influenza aviaria. A metà dicembre, gli Stati Uniti hanno segnalato il primo caso di malattia grave collegata al virus dell’influenza aviaria nel Paese.
Gli appelli a non prendere sottogamba questi episodi si moltiplicano ma gli esperti che ritengono che non si stiano prendendo le dovute precauzioni sono molti.
UN SALTO DI SPECIE CHE NON DOVEVA AVVENIRE
Per la virologa e ricercatrice Ilaria Capua, intervistata dal Corriere della sera, il virus H5N1 è “il nemico numero uno”. L’esperta ha sottolineato come i due casi in America siano la prova che il virus “acquisisce delle capacità che fanno sì che la replicazione del virus negli esseri umani sia agevolata, più rapida, più aggressiva, più invasiva”.
Secondo Capua il salto di specie dagli uccelli ai mammiferi doveva essere perlomeno contenuto tra i bovini perché più circola tra i mammiferi, più si avvicina all’uomo “e ogni volta che passa in un mammifero, acquisisce delle mutazioni che poi possono renderlo capace non solo di infettare più efficacemente l’uomo, ma di trasformarlo a sua volta in un vettore infettivo di altre persone”.
Gli Stati Uniti, “una delle democrazie più avanzate del mondo”, dice l’esperta, si sono fatti “scappare di mano un problema che ci darà un sacco di filo da torcere”. E bisognerà anche vedere come si muoverà il prossimo presidente Donald Trump.
RISCHIO TRASMISSIONE UOMO-UOMO
Capua ha ricordato che non c’è stato ancora alcun caso di trasmissione da uomo a uomo e che in Italia per ora “possiamo stare tranquilli” perché il virus specifico del bovino “non è stato trovato né negli uccelli selvatici […] né nelle mucche e neppure nell’uomo”. Una delle ultime notizie però è che, sebbene l’aviaria non è una malattia a trasmissione alimentare, ora negli Stati Uniti il virus è entrato anche nel circuito dei cibi per animali domestici come cani e gatti e ciò significa che “fra qualche mese potremmo trovarci con migliaia di gatti morti per l’influenza aviaria, all’interno di nuclei familiari”.
COSA SI DICE DI TRATTAMENTI E VACCINI
Il virologo Matteo Bassetti in un post su X si è soffermato sulle cure utilizzate per il ragazzo in Canada. Cure che non sarebbero facilmente reperibili per chiunque. L’Ecmo, ovvero l’ossigenazione extracorporea a membrana, citata dal medico, “è una tecnica che supporta le funzioni vitali mediante circolazione extracorporea, aumentando l’ossigenazione del sangue, riducendo i valori ematici di anidride carbonica, incrementando la gittata cardiaca e agendo sulla temperatura corporea”, spiega Nurse24.
Inoltre, “permette, in condizioni di severa insufficienza respiratoria e/o cardiaca, di mettere a riposo cuore e polmoni vicariandone la funzione ventilatoria e di pompa”.
Capua ha invece voluto sottolineare che: “Fortunatamente, per i virus influenzali la tecnologia dei vaccini esiste da decenni. Non partiamo da zero, come è successo invece con il Covid. Si sta lavorando su vaccini sia convenzionali sia innovativi, e sugli antivirali. Quindi abbiamo degli strumenti”.
Tuttavia, ritiene che “già da adesso bisognerebbe cominciare a ragionare su quante dosi di vaccino sono disponibili, quale vaccino usare e anche quanto tempo occorre per creare eventualmente un vaccino per un virus variato di H5N1; capire come e contro quali ceppi possa funzionare un farmaco antivirale”.
STUDI IN CORSO E PREVISIONI PER IL 2025
“Restare in allerta” per Massimo Ciccozzi, professore di Epidemiologia e Statistica medica al Policlinico universitario Campus Bio-Medico di Roma, è il mantra che dovrà guidarci nel 2025. Insieme al suo team infatti sta conducendo un nuovo studio sul virus H5N1 con l’obiettivo di prevederne l’impatto a breve-medio termine. “Utilizzeremo l’Intelligenza artificiale per disegnarne la progressione”, ha spiegato, aggiungendo che “si concentra sulle mutazioni per accertare quale sia e dove sia avvenuta quella che ha permesso il passaggio dagli uccelli ai bovini”.
Dall’Australia invece arriva un appello a pensare alle donne in gravidanza perché se la maggior parte dei casi nell’essere umano si è risolto positivamente, queste invece nel 90% dei casi sono morte e con loro anche quasi tutti i bambini (87%) che stavano aspettando.