L’art. 57 della legge di bilancio 2025 prevede l’estensione del formato digitale per la prescrizione dei farmaci a pagamento di fascia C – le cd. “ricette bianche” – come già avviene per i medicinali prescritti su ricetta rossa a carico del SSN.
La digitalizzazione pervasiva estesa a tutti i comparti della P.A. marcia speditamente, nonostante le evidenze non siano sempre positive. Il fenomeno dell’hackeraggio ha avuto recentemente una implementazione esponenziale, come peraltro sottolineato dal ministro Carlo Nordio il quale ha evidenziato che la malavita organizzata è sempre un passo avanti rispetto alla P.A. quando si impossessa di informazioni riservate depositate nel web e la rete diventa un archivio digitale vulnerabile.
In questa fattispecie sanitaria se da un lato l’obiettivo è quello di completare il percorso costitutivo del fascicolo personale elettronico, dall’altro la sovraesposizione ai rischi di un furto di dati coperti dalla privacy è tangibile e il timore che ciò avvenga si appalesa evidenziando una vulnerabilità diffusa. È nota la facilità di leggere e perfino modificare le password e le credenziali di accesso in quel gigantesco buco nero che è costituito dall’universo virtuale, considerando anche che se è vero che i “nativi digitali” vi si addentrano con abilità e destrezza, ci sono persone che hanno difficoltà a utilizzare gli strumenti informatici o che preferiscono applicare l’antico detto …“carta canta, villan dorme”.
È dunque gratificante leggere nel testo della legge di bilancio che “gli strumenti elettronici devono rappresentare un ausilio per il medico”: bisogna infatti capire – all’apparir del vero – se questo auspicio è facilmente realizzabile. Qualche dubbio lo esprime il Presidente della Federazione dell’Ordine dei medici (FNOMCEO) Filippo Anelli: “Il problema è se siamo pronti per farlo e se le reti di supporto tengono. Dovremmo evitare che si appesantisca il lavoro dei sanitari potenziando la struttura elettronica”.
Allo stesso modo sembra pensarla Federfarma, che rappresenta l’ordine dei farmacisti: “Oggi sono prescritti su ricette dematerializzate il 98% dei farmaci ma il sistema funziona con criticità. In caso di problemi non è possibile risalire al tipo di farmaco da erogare ma se ci fosse un promemoria cartaceo sarebbe possibile erogarlo”.
Viene dunque da pensare che politica e burocrazia ministeriale semplificano le procedure senza conoscere la realtà dei problemi che i destinatari della dematerializzazione dei documenti devono quotidianamente affrontare. Nel caso in ispecie i medici hanno fatto osservare che in orario di studio se tutti scrivessero ricette digitali il sistema andrebbe in blocco. L’ingolfamento della rete porterebbe a interruzioni del servizio di supporto elettronico e difficoltà per utenti e professionisti sanitari. Ma è così complicato, antiquato e difficile continuare a usare carta e penna?
Lo stesso problema è emerso nella scuola e non solo in Italia: è noto che Svezia e Finlandia hanno abbandonato la scrittura corsiva per far uso esclusivo di tablet e smartphone, salvo farvi ritorno precipitosamente a fronte di difficoltà pratiche, persino banali legate al fatto che ciò che è informatico non funziona sempre con regolarità. Lo stesso dicasi per i registri elettronici in classe che comportano un dispendio di tempo per la loro compilazione da parte dei docenti, sottratto alla didattica viva.
Ciononostante, il mantra della digitalizzazione prosegue il suo cammino creando sovente più difficoltà che soluzioni. In questa fattispecie sanitaria se per un medico – pur tenendo conto dei problemi sollevati dalle categorie dei professionisti – può risultare fattibile (se tutto funziona) usare il computer per compilare una ricetta che potrebbe più agevolmente scrivere di suo pugno va rilevato che i sostenitori del digitale ad ogni costo non hanno tenuto conto dei problemi che si potrebbero creare per almeno una parte di utenza.
Ci sono infatti persone che avrebbero difficoltà oggettive: scaricare una ricetta via Whatsapp non è agevole per chi non possiede uno smartphone o non lo sa usare. Non è obbligatorio averne uno, infatti, nessuna legge può imporlo. Soprattutto le persone anziane avrebbero problemi, da questo punto di vista: è incredibile che il legislatore o i suoi consiglieri non tengano conto di questo dato oggettivo.
Secondo il Rapporto ISTAT, al 1° gennaio 2023, le persone con più di 65 anni sono 14 milioni 177 mila, il 24,1% (quasi un quarto) della popolazione totale: quanti di loro posseggono un tablet, un pc o uno smartphone abilitabile all’uso di Whatsapp?
Questa domanda a fronte dei dati ISTAT diventa inevitabile porsela, è stupefacente che si ipotizzi una legge di bilancio che consenta una sola soluzione, quella della digitalizzazione totale delle ricette mediche. Trovo che si tratterebbe di una forma di discriminazione a priori, di tipo Costituzionale. Perché per chi non possiede strumentazione elettronica in grado di ricevere ricette digitali si porrebbe questo problema: a chi devo rivolgermi per scaricare la ricetta, senza che vengano violati dati personali che riguardano la salute e sono tutelati dalla privacy?
Una soluzione ci sarebbe, quella del doppio metodo per redigere una ricetta da parte del medico: digitale per chi la può scaricare e cartacea per chi la riceverebbe – come un tempo si usava – brevi manu. Vediamo se politica e burocrazia arrivano a capirlo.