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Sistema Sanitario Italiano

Il Sistema sanitario italiano sarebbe in grado di gestire risorse aggiuntive?

Sistema sanitario italiano: fatti, numeri, annunci e problemi. L'intervento di Massimo Balducci

Non è solo ora che il sistema sanitario italiano fa acqua. Dalla riforma del 1978 (legge 833) il sistema sanitario è uno dei grandi ammalati dell’Italia. Cerchiamo rapidamente di vedere quali sono gli snodi cruciali che determinano le disfunzioni sotto gli occhi di tutti.

Innanzi tutto rendiamoci conto che il sistema sanitario italiano è uniforme su tutto il territorio. Le differenze tra regioni sono solo sui dettagli. Il sistema sanitario è il risultato della legge 833 del 1978, un periodo in cui era in vigore il testo originario della nostra Carta Costituzionale, secondo il quale le Regioni potevano legiferare solo nell’ambito di leggi quadro statali. Orbene la legge 833 del 1978 è una legge quadro. Ne consegue che la sanità della Calabria e quella della Lombardia sono sostanzialmente uguali (anche se offrono prestazioni diverse). Bisogna ricercare nella l. 833/1978 le cause delle disfunzioni e non soffermarsi sui sintomi (liste di attesa e ricorso alla medicina privata, disorganizzazione etc.).

Orbene quali sono queste cause? Faremo qui un rapido censimento delle cause delle disfunzioni sanitarie e dei percorsi da intraprendere per uscire dal tunnel.

Innanzi tutto la confusione istituzionale tra chi offre il servizio e chi ne usufruisce. Basti pensare che gli ospedali (definiti come presidi ospedalieri) non hanno né personalità giuridica né autonomia contabile. Lo stesso dicasi per i distretti/poliambulatori. Ne consegue che non è possibile individuare chi è responsabile di quale prestazione né di tenere sotto controllo i costi delle prestazioni.

La legge 833/1978 è maturata in un periodo caratterizzato da due aspetti. Da una parte stava cambiando il ruolo dell’ospedale: da luogo dove venivano curati gli ammalati che non vivevano in abitazioni salubri in luogo in cui si avevano a disposizioni strumenti tecnici che non potevano essere disponibili nel domicilio del paziente. Emblematici i casi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. Il primo si fece operare alla prostata in Vaticano il secondo fu sempre curato all’Ospedale Gemelli.

Dunque la l. 833/1978 risente del prestigio che l’ospedale stava acquisendo. La l. 833/1978 incentra tutta la prestazione nell’ospedale. Il medico del territorio viene considerato una sorta di smistatore che non cura il paziente ma lo dirotta ai distretti per la diagnostica e poi lo indirizza all’ospedale per essere curato. La Unità Sanitaria Locale ha personalità giuridica e autonomia contabile laddove chi eroga i servizi, cioè gli ospedali e i poliambulatori non la hanno. In questo modo la l. 833/1978 ha introdotto una dicotomia sconosciuta nel resto d’Europa, quella tra medico ospedaliero e medico del territorio. Sopra le Alpi i medici operano sul territorio e, per alcune ore alla settimana, in ospedale, che concepiscono come luogo cui ricorrere in maniera eccezionale.

Il secondo aspetto che caratterizza il periodo in cui viene maturato il nostro sistema sanitario è rappresentato da un clima politico particolarmente caldo. Non dobbiamo dimenticare che il 1978 è l’anno del sequestro e omicidio Moro. La l. 833/1978 risente pesantemente dei prezzi che si sono dovuti pagare al PCI per garantire il suo sostegno al governo con il meccanismo della “non sfiducia”. Questo fa sì che si afferma il meccanismo del sistema sanitario finanziato dall’alto e non il meccanismo della controprestazione. La l. 833/1978 afferma un principio fondamentale e irrinunciabile, cioè il principio che il malato deve preoccuparsi solamente di curarsi e non anche di far fronte ai costi della malattia. Sopra le Alpi, con poche eccezioni, questa garanzia viene assicurata tramite il meccanismo del “terzo pagante”.  La struttura sanitaria non riceve un finanziamento dall’alto ma viene remunerata a seconda delle prestazioni che eroga. Tale remunerazione non è pagata dal paziente ma da un ente terzo, appunto il “terzo pagante”. Questo crea una contrapposizione tra chi eroga il servizio e chi lo paga attivando meccanismi di reciproca responsabilità oggi sconosciuti nel nostro sistema sanitario. Ovviamente il clima politico del periodo ha imposto una soluzione in cui tutto doveva essere garantito indipendentemente dai costi, una soluzione basata sul finanziamento dall’alto e non sulla remunerazione della controprestazione.

A partire del 1978 fino all’inizio degli anni ‘90 dello scorso secolo abbiamo due sanità parallele: una pubblica basata sul territorio in cui i presidi ospedalieri disponevano di strumentazioni adeguate ma in cui la cura del paziente era molto ipotetica, una privata in cui il sevizio alberghiero era di ottima qualità ma la prestazione non poteva contare sulla strumentazione adeguata. Con il Dlgs 504 del 1992 (il decreto De Lorenzo) ci si propone di mettere la sanità privata e quella pubblica sullo stesso piano e di metterle in competizione. Il Dlgs 504/1992 prevede che sia le strutture sanitarie pubbliche che quelle private vengano “accreditate”. Il meccanismo dell’accreditamento però non funziona per due motivi: primo, le strutture sanitarie pubbliche di fatto non possono essere accreditate perché formalmente non esistono (non hanno né personalità giuridica né autonomia contabile), secondo, non esistono organismi in grado di effettuare le valutazioni tecniche necessari per l’accreditamento. Ne risulta che la struttura privata viene accreditata dalla struttura pubblica (la quale si accredita con una autocertificazione) solo come supporto alla struttura pubblica. Inutile qui richiamare l’attenzione sul fatto che, secondo gli standard Ue, chi accredita deve essere a sua volta abilitato ad accreditare da un ente nazionale a ciò deputato (nel nostro caso si tratta di Accredia).

Il risultato è, da una parte, il mancato rispetto delle norme Ue sui mercati pubblici e, dall’altro, una confusione diffusa tale per cui non poche Regioni si vedono costrette a rinunciare ad assicurarsi perché, vista appunto la confusione imperante, i premi assicurativi richiesti supererebbero il budget delle singole ASL.

Dubito che assegnare ulteriori risorse a questo groviglio migliorerebbe la situazione. Le vie da percorrere non sono certo facili ma vanno tracciate come segue: (i) assegnazione della personalità giuridica e dell’autonomia contabile agli ospedali e ai distretti/poliambulatori, (ii) creazione di enti adeguati per accreditare, (iii) accreditare sia le strutture pubbliche che quelle private, (iv) passare progressivamente dal meccanismo del finanziamento a quello del “terzo pagante”.

Su questo ultimo punto vale la pena fare un paio di considerazioni aggiuntive.

In Norvegia, paese dalle risorse finanziarie esorbitanti dovute ai giacimenti di gas e petrolio, il sistema sanitario (che gode di risorse superabbondanti) non è basato sul “terzo pagante” ma su finanziamento diretto. Orbene qui le liste di attesa sono lunghissime. In Germania o in Olanda, dove vige il sistema del “terzo pagante” le liste di attesa non sono un problema. Attualmente si sta cercando di aumentare lo stipendio dei sanitari, lasciando la possibilità ai sanitari stessi di operare in doppio regime, in parte come stipendiati e in parte come liberi professionisti (con le prestazioni erogate in regime di intra moenia).

Andrebbe esplorata la possibilità di offrire ai sanitari una alternativa secca: o a stipendio o a remunerazione a prestazione. In questo secondo caso imponendo della tariffe (da negoziare con gli ordini) decenti. Alla clinica dell’Università libera di Bruxelles ho pagato una visita da un prestigioso professionista 35 euro (se fossi stato inserito nel sistema sanitario belga ne avrai recuperato ca. 29 euro) mentre in Italia pago 37 euro di ticket. Non menziono i costi delle visite private in regime di intra moenia.

A chi volesse approfondire queste tematiche mi permetto di segnalare una mia recente pubblicazione Un gatto che si morde la coda ovvero le riforme della pubblica amministrazione – anali e suggerimenti, Milano, Guerini, 2023.

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