Caro direttore,
da scettico dry non mi sono stupito del provvedimento di archiviazione del Tribunale dei Ministri di Roma, che ha scagionato – ma solo sotto il profilo penale – l’ex ministro Roberto Speranza.
La strategia difensiva dell’avvocato di Speranza (forse prevedibile) è stata vincente: il ministro della Salute non decideva nulla, seguiva solo la “scienza” dell’AIFA, del CTS e dell’Istituto Superiore di Sanità (un ministro eterodiretto, inconsapevole, piccino piccino). Vedremo poi quale sarà la reazione e la difesa dei medici e dei tecnici coinvolti, i quali certo non vorranno essere scaricabarile (la vicenda non si esaurirà presto, e prevedo sorprese).
Il Tribunale dei Ministri, prudentemente, non poteva sindacare l’azione politica – giusta o sbagliata, o perfettibile, che fosse – di un ministro: la separazione dei poteri impedisce una valutazione giudiziaria dell’azione politica.
Col senno di poi, un ministro non tecnico – dinanzi alla pandemia, ad una situazione di emergenza imprevedibile – avrebbe dovuto fare un semplice gesto, un passo indietro: dimettersi, consapevole dei propri limiti, per farsi sostituire da un tecnico della salute. Ma l’ego e l’ybris di Roberto Speranza lo hanno impedito, con gli esiti che ben conosciamo (e la sfiducia nella classe medica).
L’ex ministro Speranza resterà nella storia per l’infelicissima (ed involontariamente comica, e contraria al giuramento di Ippocrate) formula “Paracetamolo e vigile attesa”, e per la sua spocchiosa sicumera (un altro avrebbe optato per l’oblio, e non per la sovraesposizione per un modestissimo libro). Qualcun altro, dotato di banale e semplice sensibilità umana e spirito di servizio, si sarebbe arrovellato: ho commesso errori che potevo evitare? Potevo fare di più e meglio?
Il solito dilemma del veterocomunista: ho la verità in tasca, è la realtà ad essere in errore… il mondo deve adattarsi alla mia mente.
Diceva G.C. Lichtenberg: “Dubita di tutto almeno una volta, anche se si trattasse della proposizione: 2×2 fa 4”.
Così è, se vi pare.
Un caro saluto.
Antonio de Grazia