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Editing del genoma: nuove speranze per le malattie rare

In soli sei mesi, grazie all'editing del genoma, è stato sviluppato un trattamento personalizzato per un bambino affetto da una rara malattia genetica. Questo strumento apre a nuove prospettive per il trattamento di diverse patologie. L’articolo di Giuseppe Biamonti

 

Per la prima volta al mondo è stata utilizzata con successo una sofisticata procedura di editing del DNA per correggere una mutazione e alleviare i sintomi di un neonato affetto da una malattia rara e potenzialmente letale. Lo studio di Kiran Musunuru e Rebecca Ahrens-Nicklas, della Penn Medicine e del Children’s Hospital di Filadelfia, è pubblicato sul New England Journal of Medicine.

Le novità sviluppate aprono nuove prospettive per il trattamento di diverse malattie genetiche rare che, con meno di 5 persone affette ogni 10.000 abitanti, non sono singolarmente “interessanti” per le industrie farmaceutiche (anche se ben il 5% della popolazione è affetto da una qualche forma), pertanto sviluppare approcci utilizzabili su un più alto numero di malattie e di pazienti è di enorme interesse.

Colpisce in questo lavoro la velocità, soli 6 mesi, con cui è stato sviluppato il trattamento per il neonato, soprannominato KJ dalla sua famiglia, a cui è stata diagnosticata alla nascita una grave carenza di carbamilfosfato sintetasi 1 (CPS1). Questa malattia ha una frequenza di 1 caso su un milione di nati e un tasso di mortalità nella prima infanzia del 50%. KJ, anche se è stato immediatamente sottoposto ad una dieta e trattato con farmaci, era probabilmente destinato a subire un trapianto di fegato.

Il trattamento è basato su una modifica del rivoluzionario sistema molecolare noto come CRISPR-cas9, per il quale nel 2020 è stato assegnato il Nobel a Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna, che permette di “tagliare” il DNA in corrispondenza di una specifica sequenza (riconosciuta tramite un filamento di RNA guida), modificando una delle 3 miliardi di “basi” che formano il nostro genoma. L’approccio era stato messo a punto per pazienti affetti da patologie dovute a disturbi del ciclo dell’urea, spesso dovute alla mutazione di una base in uno dei geni che codificano gli enzimi necessari al fegato per trasformare in urea non tossica l’ammoniaca presente nell’organismo per la degradazione delle proteine assunte con l’alimentazione. Senza questa reazione, l’ammoniaca si accumula nel sangue e può causare letargia, coma e danni cerebrali.

Le innovazioni introdotte hanno permesso di ridurre il tempo necessario per creare un “editor” di basi personalizzato e di correggere celermente una delle copie alterate del gene CPS1 di KJ. Grazie all’RNA messaggero (quello di cui abbiamo sentito tutti parlare molto ai tempi della pandemia di Covid-19), che li codifica, i componenti necessari per questo “editing” sono stati inseriti in nanoparticelle lipidiche e iniettati nel sangue di KJ. Il trattamento ha prodotto però un miglioramento non risolutivo, insufficiente per eliminare l’accumulo di ammoniaca nel sangue, forse perché solo una frazione di cellule è stata modificata. È necessario continuare a monitorare il bambino ma i medici sperano di evitare il trapianto di fegato, in teoria KJ potrebbe ricevere altri cicli di trattamento quando sarà più grande.

Questo non è comunque il primo caso di editing applicato con successo in ambito terapeutico. Approcci differenti sono già stati sviluppati per trattare bambini affetti da gravi disturbi neurologici o per altre malattie metaboliche. Ma la metodologia utilizzata questa volta per veicolare il farmaco, la velocità con cui è stato sviluppato il trattamento e il tipo di “editing” utilizzato rappresentano passi fondamentali.

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