L’ultima tregua, in ordine cronologico, alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, di fatto ha sancito una realtà già evidente, e cioè che i cinesi trattano alla pari con gli americani e li possono trascinare al tavolo negoziale in ogni momento. In base a questa realtà, occorre valutare in quali altri ambiti produttivi la Cina ha raggiunto posizioni che potrebbero fare molto male agli americani e all’Occidente, inclusa quindi la povera Europa, che era la vittima non troppo collaterale del conflitto sulle terre rare.
Un settore in cui i progressi cinesi appaiono impressionanti è quello farmaceutico, incluso il biotech. Qui il potere della Cina risiede nel suo controllo sulla fornitura globale di ingredienti attivi farmaceutici, o API (Active Pharmaceutical Ingredients), componenti fondamentali dei farmaci commerciali. L’influenza di Pechino si estende a monte ai cosiddetti “key starting materials“: sostanze chimiche, siano esse materie prime o intermedi, necessarie per la sintesi commerciale dell’API.
Anche se la Cina ad oggi non ha minacciato di agire sul flusso dei farmaci, forse temendo danni irreparabili alla sua immagine di “potenza tranquilla” e affidabile in caso soffocasse il flusso di farmaci salvavita, la minaccia è troppo grande per essere ignorata.
UN TAXI CHIAMATO GLOBALIZZAZIONE
Uno sguardo a come Pechino ha orientato la sua industria per raggiungere la supremazia illustra il successo della leadership comunista nel trarre il massimo da una struttura di commercio internazionale aperto progettata per un’era passata. Oggi quel sistema pare essere stato archiviato dalla competizione geopolitica tra blocchi ma è servito alla Cina come un taxi, per attrarre tecnologia straniera e giungere a sostituire i produttori occidentali.
In ambito farmaceutico, la Cina è partita dal fondo della catena del valore, prima che i vertici politici spingessero per una forte integrazione verticale della produzione, sino al prodotto finito. Oggi le aziende cinesi del settore pharma e biotech hanno indiscutibilmente le capacità di ricerca e innovazione per rivaleggiare con l’Occidente, e ormai per sopravanzarlo, dagli antibiotici ai farmaci “di frontiera”. Da qui l’ulteriore potente vantaggio su Stati Uniti e Occidente in caso di nuovo capitolo della guerra commerciale.
Ricordiamo che, nell’ambito del programma “Made in China 2025”, le life sciences erano prioritarie. Oggi, a coronamento di quella priorità strategica, la quota cinese di farmaci innovativi che entrano in sviluppo minaccia di attaccare il primato statunitense, mentre crescono le licenze farmaceutiche cinesi sui mercati internazionali e le agenzie di regolamentazione più rigorose al mondo considerano sempre più i farmaci cinesi come promettenti al punto da giustificare lo stanziamento di risorse extra per accelerare la loro review.
Se consideriamo un’altro conflitto sino-americano come inevitabile, magari originato dalla volontà cinese di egemonizzare il Pacifico ed estromettere da quell’area gli americani, i farmaci possono rappresentare la nuova arma nelle mani di Pechino. Due senatori americani, il repubblicano Rick Scott della Florida e la democratica Kirsten Gillibrand di New York, nell’ambito del panel speciale sull’invecchiamento, hanno reso pubblici dati che mostrano che, nel 2002, l’83 per cento dei farmaci consumati negli Stati Uniti erano prodotti a livello domestico. Nel 2024, quella percentuale era solo del 37 per cento.
La maggior parte di ciò è conseguenza dell’aumento di importazioni statunitensi da Cina e India. Quest’ultima dipende a sua volta dalla Cina per i principi attivi che entrano nei farmaci che produce. Circa il 45 per cento degli ingredienti nei farmaci usati dagli americani proviene “esclusivamente dalla Cina”, secondo Yanzhong Huang, Global Health Senior Fellow al Council on Foreign Relations.
Lo stesso analista stima che quasi il 30 per cento degli ingredienti attivi della filiera farmaceutica statunitense provengano direttamente dalla Cina, quota che sale al 60 per cento considerando il canale indiretto, che include ad esempio i farmaci indiani che acquisiscono i principi attivi dalla Cina. Un recente report di un ente statunitense di normazione del settore farmaceutico, ha evidenziato che quasi 700 medicinali statunitensi sono realizzati utilizzando almeno un ingrediente chiave proveniente esclusivamente dalla Cina. La sintesi dell’amoxicillina, ad esempio — uno degli antibiotici più utilizzati negli Stati Uniti — dipende da quattro key starting materials, ciascuno prodotto quasi esclusivamente in Cina.
Mentre i dazi di Trump potrebbero convincere le multinazionali del farmaco a realizzare impianti per garantire le catene di approvvigionamento per i farmaci a maggior fatturato coperti da brevetto, ciò non accadrà con i generici, dove la Cina domina. Il controllo di Pechino rappresenta la minaccia più grande per i generici economici e comunemente usati che rappresentano circa il 90 per cento dei farmaci prescritti negli Stati Uniti. La produzione di ingredienti attivi è inoltre altamente inquinante e avrebbe poco senso riportare questo tipo di produzione in luoghi con rigide normative ambientali.
RICARDO NON C’ENTRA PIÙ NULLA
Dovrebbe ormai essere molto chiaro, ma meglio ribadirlo: la competitività cinese non deriva dai vantaggi comparati ricardiani in un mercato operante in regime di libera concorrenza. Le aziende farmaceutiche cinesi beneficiano di un pervasivo sostegno di stato che va da sussidi all’elettricità sino a prestiti agevolati da parte di prestatori pubblici. A ciò bisogna sommare la mancanza di forti regolazioni ambientali per la gestione delle sostanze tossico-nocive, oltre a pressoché inesistenti protezioni di lavoro e proprietà intellettuale. Per finire con minori vincoli in fase di trial clinici.
Di rilievo anche il fatto che i produttori farmaceutici cinesi non devono preoccuparsi di ispezioni a sorpresa, a differenza di quelli americani e occidentali. Nel corso del panel del senato statunitense di cui sopra, è emerso che mentre la Food and Drug Administration può condurre ispezioni a sorpresa degli impianti farmaceutici sul suolo statunitense, lo stesso non può fare riguardo quelli cinesi, dove deve concordare le date delle sue ispezioni.
Oggi, in sintesi, la filiera farmaceutica americana non è autosufficiente rispetto alla Cina, e per tornare ad esserlo servirà molto tempo e molte risorse, anche ignorando gli ostacoli regolatori. Sempre nell’ambito dell’integrazione verticale del sistema paese, che avanza letteralmente a falange, la Cina ha creato hub come lo Shanghai Chemical Industry Park, che si sviluppa su quasi 30 chilometri quadrati, dove un produttore farmaceutico può rifornirsi di materie prime e intermedie, riducendo i costi di trasporto. Strutture simili sono il prodotto di scelte strategiche realizzate in successivi piani quinquennali.
CAMBIO DI PARADIGMA ANCHE IN OCCIDENTE?
La Cina ha realizzato integrazioni verticali settoriali, pilotate dallo stato, che sono semplicemente impensabili in Occidente, sul piano culturale prima di qualsiasi altra dimensione. Ma ora anche in Occidente si sta facendo strada l’esigenza di un drastico cambio di paradigma: attività economica non più focalizzata sul consumatore attraverso la dimensione dei prezzi bassi, e quindi della globalizzazione che abbiamo conosciuto, bensì controllo delle produzioni strategiche.
Ricordate durante il Covid? Eravamo scioccati perché dovevamo reperire le mascherine e abbiamo scoperto che praticamente le facevano solo in Cina. Ebbene, oggi scopriamo che quelle mascherine erano solo la punta dell’iceberg: siamo dipendenti per ben altro.
Da questa epifania deriva che l’Occidente dovrebbe fare blocco per concorrere con la Cina, assicurando l’assenza di dazi per sviluppare il mercato comune, fermo restando che gli sforzi di finanziamento pubblico di ricerca e produzione sono e restano nazionali, dipendendo dalle capacità fiscali. Il “modello” Ue nella sua disfunzionalità, in pratica. Ma le scelte di Trump vanno in direzione opposta, perché egli evidentemente pensa che gli Stati Uniti possano affrontare e sconfiggere la Cina da soli.
(Articolo pubblicato su Phastidio)








