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Sileri

Così cambierà la sanità italiana. Parla Sileri

Il sottosegretario Pierpaolo Sileri spiega dove finiranno le risorse del PNRR: potenziamento delle strutture territoriali, massiccio ricorso alla tecnologia, lavoro di squadra attorno al paziente. E più prevenzione. L'intervista di Giusy Caretto per il quadrimestrale di Start Magazine

 

Conversazione di Start Magazine con Pierpaolo Sileri, chirurgo e accademico italiano, dal 1º marzo 2021 sottosegretario di Stato al ministero della Salute nel governo Draghi e in precedenza, per due anni, vice ministro sempre allo stesso dicastero nel secondo governo Conte.

Il Covid-19 ha portato alla luce troppe inefficienze del Sistema sanitario italiano. Cosa ci ha insegnato questa pandemia?

La pandemia ha certamente messo in luce le criticità di un’assistenza territoriale che troppo a lungo ha sofferto di uno sbilanciamento verso l’ospedale. La nostra sanità era già in sofferenza, a causa dei numerosi tagli subiti nel corso degli ultimi anni. La pandemia ci ha insegnato che bisogna necessariamente ripartire dalla prevenzione e dalle cure primarie per declinarsi sulla presa in carico di prossimità, il più possibile integrata tra ospedale e domicilio, tra servizi territoriali e sociali, per dare risposta a bisogni di salute complessi, alle cronicità, alle fragilità dei più anziani. La pandemia ha fatto emergere anche le mancanze strutturali del sistema sanitario in ambito tecnologico, le diseguaglianze regionali, le disomogeneità di accesso alle prestazioni in termini di tempistica e di complementarietà dell’offerta. Si parla da molto tempo di telemedicina, di sanità digitale, ma solo in questi ultimi anni, e ancor più in questi mesi di emergenza sanitaria, si sono realmente comprese le potenzialità dell’assistenza da remoto, della possibilità di cura e di dialogo medico-paziente anche a distanza, dell’imprescindibilità della continuità del supporto sanitario e socio-sanitario individuando la casa come primo luogo di cura.

Secondo la Fondazione Gimbe, fra tagli e minori entrate, il Sistema sanitario nazionale ha perso negli ultimi dieci anni (2010-2019) 37 miliardi di euro. Una cifra non da poco, le cui conseguenze hanno inciso sulla nostra risposta alla pandemia. Quali sono i programmi del  governo per ri-finanziare il sistema sanitario?

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) destina al settore salute 18,5 miliardi. Rappresenta dunque una grande opportunità per fare quei cambiamenti necessari al nostro sistema sanitario nazionale. Per la missione prevista dal PNRR, chiamata “Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale”, si prevede una spesa di 7 miliardi di euro. Poi ci sono circa 4 miliardi di euro per le case della salute, 2 miliardi per gli ospedali comunitari e 1 miliardo di euro per l’assistenza domiciliare.

Quali sono le riforme sulla sanità in programma nel Piano nazionale di ripresa e resilienza?

Si parte dalla “cura a domicilio” (homecare) che verrà potenziata in considerazione del fatto che interessa ben 282mila persone e operatori. Si creeranno quindi 575 centri per l’assistenza a domicilio, con apparecchi tecnologici per gli operatori, tecnologie di telemedicina per i pazienti e per le soluzioni digitali delle ASL che vi si connettono. Si proseguirà  con l’istituzione di 2.575 case della salute comunitarie aperte tutto il giorno, dove consultare il medico generico e un infermiere, dove ci si reca per un malessere o un piccolo incidente, per programmare un test. Le case si occupano anche delle malattie croniche, con percorsi condivisi e sorvegliati. Sono tecnologicamente strutturate e dotate delle adeguate competenze per stare sul territorio, producendo servizi migliori, più efficienti e meno costosi rispetto alla concentrazione nelle cure ospedaliere e assimilate. Infine, si prevede la creazione di 753 ospedali comunitari tesi a ridurre i ricoveri nell’ospedale generale, con sostegno infermieristico e di assistenza medica continua, per le persone che provengono dalle RSA, dalla loro abitazione o sono da poco dimessi da un ospedale di tipo generale ma necessitano ancora di cure. Sono una struttura intermedia tra l’assistenza domiciliare integrata (ADI) e l’ospedale, e non sono una novità.

In questi mesi, grande assente è stata la medicina di territorio. Come il Governo intende potenziare questo aspetto della sanità?

È vero, la pandemia ha fatto emergere varie criticità circa la medicina territoriale. Abbiamo bisogno di avvicinare le cure ai pazienti, specialmente quelli più fragili. Nel PNRR si fa esplicito riferimento alla popolazione anziana e non autosufficiente, per la quale sono state pensate specifiche misure che favoriscono l’erogazione di servizi sul territorio. In questo processo sarà cruciale valorizzare i presidi territoriali già esistenti come le case di comunità, che il piano italiano del Next Generation Eu prevede di portare a 1.288 nel 2026. Ma sarà altrettanto funzionale migliorare tutti i luoghi in cui privilegiare le cure primarie, gli interventi clinici a bassa intensità, il trattamento delle post-acuzie, con il duplice vantaggio di sgravare le strutture ospedaliere e i pronto soccorso e intervenire più capillarmente e stando vicino al paziente. Anche gli ospedali di comunità potranno contribuire a ottimizzare la rete di prossimità, così come lo sviluppo delle farmacie dei servizi, soprattutto nei contesti geograficamente più svantaggiati. Per un welfare territoriale che davvero sia al passo con i tempi e in linea con le esigenze di salute dei cittadini, sarà necessaria una riforma incisiva. Si tratta di costruire un modello organizzativo basato sul “continuum assistenziale”, tanto più necessario per i pazienti cronici e anziani, che preveda un gioco di squadra coordinato tra tutti i soggetti deputati all’erogazione delle prestazioni al singolo.

(Estratto di un’intervista pubblicata sull’ultimo numero della rivista Start Magazine)

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