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Covid Cancro

Come (non) funzionano i tamponi rapidi. Inchiesta di Report

Fatti e magagne dei tamponi rapidi secondo la trasmissione Report di Rai3

La pandemia da Covid-19 sta mettendo a dura prova il sistema sanitario italiano e la sua rete organizzativa territoriale. Il professor Andrea Crisanti, interpellato dall’ultima trasmissione tv Report, ha ricordato che ad agosto aveva previsto l’esplosione della seconda ondata verso la fine di settembre e aveva proposto al Governo il suo piano per tenere sotto controllo il tracciamento e quindi contrastare la diffusione del virus.

Il piano inascoltato del professore Andrea Crisanti

Il piano del prof. Crisanti prevedeva di potenziare i laboratori, istituendone almeno 40 tra fissi i e mobili, in grado di processare fino a 400mila tamponi molecolari al giorno, i più attendibili nell’individuazione dell’infezione da Covid-19. I costi stimati si aggiravano intorno ai 40 milioni ai quali dovevano aggiungersi 1,5 milioni al giorno di costi di gestione. Oggi, in piena pandemia, non se ne processano più di 200mila. Il Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della Salute, sebbene informato dal ministro Federico D’Incà e dal viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri contattati dal prof. Crisanti, decide di ignorare le proposte del professore dell’Università di Padova.

Tamponi rapidi: le inefficienze del Veneto, la Regione più efficiente

L’Italia ha scelto di seguire, invece, la strada del tampone rapido, con gare d’appalto in tutta Italia per più di 190 milioni di euro.  Il Veneto, la Regione che fa più tamponi in Italia, ne fa 55 mila al giorno di cui 40 mila rapidi. Forse è imputabile a questo la recrudescenza dell’epidemia nelle ultime settimane tenuta a bada grazie a un imponente investimento nelle terapie intensive?

Il parere del prof. Crisanti sui tamponi rapidi non è positivo. “Se sottoponiamo a tampone rapido mille persone e se tra queste mille persone ce ne sono 20 positive, a seconda del test che scelgo, rischio di mancarne da sei a 10. Un numero enorme se l’obiettivo che voglio raggiungere con i test rapidi è proteggere ambienti vulnerabili, come quelli degli ospedali o delle case di riposo”. A tal proposito Report raccoglie la testimonianza di Maria Elena, infermiere di Padova, in quarantena con tutta la famiglia perché infettati dal figlio. Il marito della donna, inizialmente risultato negativo al test rapido voluto dalla Regione ha poi sviluppato i sintomi del Covid. Una storia analoga a quella del medico anestesista Vincenzo Pietrantonio, screenato con un tampone rapido risulta negativo ma sottoposto a un tampone molecolare emerge la sua positività. Nel mentre per il medico aveva avuto contatti con colleghi medici e pazienti.

La chimera del tracciamento

Il parere degli esperti sulla seconda ondata pandemica, della quale stiamo vivendo la coda, è che sia saltato il sistema di tracciamento. Ovvero quel sistema che permette di tenere traccia degli spostamenti e dei contatti dei positivi una volta che la positività è conclamata. Ma quanto sono seguite le persone che si sottopongono a tampone in Italia?

Report ha raccolto la testimonianza di un uomo e una donna che hanno contratto il Covid-19 in forma non grave e che sono incappati nelle inadempienze del sistema sanitario del Lazio.

Lazio: una storia di tamponi dimenticati

La prima testimonianza raccolta è quella di Paolo, un ragazzo romano positivo al virus, che dopo la quarantena ha avuto la necessità di fare un tampone per decretare la fine della quarantena. Il primo ostacolo sono le lunghe file sia al Campus Biomedico che all’Istituto Zooprofilattico, attese lunghe fino a 7 ore.  Dopo aver fatto un tampone a Viterbo, Paolo scopre sul sito della Regione Lazio che il suo nome è associato a due diversi risultati del tampone: uno positivo e uno negativo. Quando prova a contattare il laboratorio di analisi che ha processato il suo tampone la risposta che riceve è surreale: “Scelga lei quale dei due risultati strappare perché deve esserci stata una sovrapposizione con un altro utente”.

La seconda storia, è quella di Ilaria, una donna rimasta impigliata nel sistema messo in piedi dalla Regione Lazio agli inizi di novembre. Ilaria contare l’infezione e fa un tampone molecolare al drive in di Casal Bernocchi, una frazione di Roma. Dopo 18 giorni arriva il suo referto ma dai documenti scopre che il suo tampone è stato processato solo 10 giorni dopo il prelievo. Ilaria si chiede quanto siano affidabili i risultati di un tampone analizzato dopo così tanti giorni. La risposta la fornisce l’Istituto Superiore di Sanità che dà indicazioni molto precise: se il tampone è processato entro 48 ore dal prelievo può essere conservato alla temperatura di 4 gradi, se viene processato dopo più di 48 ore deve essere conservato a -80 gradi.

A processare i tampone di Ilaria è l’ospedale San Raffaele della Pisana. Il nosocomio, contattato dalla troupe di Report, afferma di aver conservato il tampone per dieci giorni a 4 gradi, dimostrando di non essere informato circa le linee guida dell’ISS. Sul punto la squadra di Report sente anche l’assessore alla sanità del Lazio, Alessio D’Amato, il quale schiva le domande rifugiandosi nel presunto tecnicismo delle domande.

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