Nel 2006 vi fu il tentativo di procedere ad una parziale liberalizzazione nella distribuzione dei farmaci cui seguì invece, nel decennio successivo, non solo la conferma delle farmacie quale luogo a ciò dedicato, e perciò regolato, ma anche l’avvio della funzione di erogazione di alcuni servizi sociosanitari. Il riconoscimento del loro ruolo nella esperienza pandemica ha poi riproposto l’esigenza di collocarle nei servizi sanitari regionali quale primario presidio nelle comunità.
I processi di digitalizzazione, a partire dal fascicolo sanitario elettronico, esaltano le capacità di interazione con gli altri servizi territoriali e con gli utenti finali. Atti normativi e giurisprudenziali, tra i quali quello più recente, hanno consolidato l’evoluzione dei compiti delle farmacie nei percorsi di prima diagnosi, assistenza e riabilitazione attraverso strumentazioni proprie e attività convenzionate. In particolare possono partecipare al servizio di assistenza domiciliare integrata a supporto delle attività del medico di medicina generale o del pediatra di famiglia, collaborare alle iniziative finalizzate a garantire il corretto utilizzo dei medicinali prescritti e il relativo monitoraggio nonché l’aderenza alle terapie, erogare servizi di primo e secondo livello, tra cui prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell’ambito dell’autocontrollo, gestire la prenotazione delle prestazioni specialistiche, il pagamento delle relative quote di partecipazione alla spesa a carico del cittadino e il ritiro dei referti relativi.
Le farmacie possono così concorrere al miglioramento dell’impiego di prestazioni sanitarie appropriate con particolare riguardo alla prevenzione. Anche in questo caso può essere utile la individuazione, attraverso le convenzioni, di ulteriori equilibri tra attività sempre più impegnative e corrispondenti sistemi premiali agli investimenti per un numero crescente di strutture sempre più adeguate. Queste partecipano quindi a pieno titolo al rafforzamento dei servizi territoriali nei quali risulta fondamentale il criterio della prossimità garantito in primo luogo dalla evoluzione dei medici di medicina generale verso studi associati dotati di requisiti soggettivi e oggettivi minimi inderogabili.
La dimensione spoke, all’interno di distretti hub, non può essere infatti irrigidita nelle case di comunità ma va realizzata da professionisti sanitari in collaborazione tra di loro, in certa misura oltre le tradizionali separazioni. Parlare di conflitti di interessi tra figure ordinistiche e’ un non senso perché tutti devono operare nel rispetto di criteri deontologici e secondo gli indirizzi disegnati dalle aziende territoriali. Solo una siffatta prima linea pubblica e sussidiaria può garantire selezione della domanda di salute e ridimensionare le pressioni nei confronti delle strutture ospedaliere.
Maurizio Sacconi