Se ne parla ormai da mesi senza saperne ancora molto ma adesso l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha pubblicato per la prima volta un documento in cui dà una definizione e stabilisce i criteri con cui diagnosticare il “long Covid”, ovvero la presenza di sintomi legati alla malattia dopo mesi dal contagio.
LA DEFINIZIONE DELL’OMS
Precedentemente considerato una sindrome “misteriosa” con “nessun modello chiaro” di sintomi, il long Covid è ora classificato dall’Oms come “post-Covid condition”, cioè condizione dovuta al post-Covid.
“La condizione post Covid-19 – si legge nella definizione – si verifica in individui con una storia di probabile o confermata infezione da SARS-CoV-2, di solito a 3 mesi di distanza dall’inizio del Covid-19 con sintomi che durano per almeno 2 mesi e non possono essere spiegati da una diagnosi alternativa”.
I SINTOMI
Alcuni studi internazionali hanno classificato oltre 200 sintomi diversi. I più comuni, continua l’Agenzia sanitaria delle Nazioni Unite, includono affaticamento, mancanza di respiro, disfunzioni cognitive ma anche altri… che generalmente hanno un impatto sul funzionamento quotidiano.
I sintomi possono essere di nuova insorgenza, dopo il recupero iniziale da un episodio acuto di Covid-19, o persistere dalla malattia iniziale. Ma possono anche avere alti e bassi o procurare delle ricadute.
New case definition of #LongCOVID announced today by @WHO reflecting the impact on functioning in day to day life (disability) and episodic nature (fluctuating or relapse) #GlobalPT https://t.co/5uzlpCVK8c pic.twitter.com/HCIOjwnbtP
— Long COVID Physio (@LongCOVIDPhysio) October 6, 2021
CHI COLPISCE DI PIÙ
Pare che il long Covid, secondo quanto scrive Cnbc, colpisca di più le donne, le persone di età compresa tra i 35 e i 69 anni, coloro che vivono nelle aree più svantaggiate, che lavorano nella sanità o nell’assistenza sociale e quelle con disabilità o un’altra condizione di salute limitante l’attività.
COME SI CURA IL LONG COVID
Ad oggi, non c’è alcun trattamento che garantisce la totale ripresa. Sono stati però predisposti alcuni centri dedicati proprio al long Covid, per esempio in Italia, Francia e Regno Unito, dove i pazienti svolgono principalmente un percorso di riabilitazione fisica, respiratoria e psicologica.
Si è però notato, come riportano studi pubblicati dalla rivista scientifica The Lancet, che le probabilità di andare incontro ai danni da long Covid sono estremamente inferiori per chi si è vaccinato.
LA BATTAGLIA NON È ANCORA FINITA
Sebbene l’avvento dei vaccini abbia notevolmente migliorato la situazione mondiale, la pandemia non è ancora finita e a preoccupare gli esperti sono adesso gli strascichi e le conseguenze che questa continuerà ad avere.
“Dobbiamo rimanere vigili, questa pandemia non è finita e continua a causare malattie, morte, ma continua anche a causare conseguenze a lungo termine per le persone in tutto il mondo”, ha detto a Cnbc il dottor Mike Ryan, direttore esecutivo del Programma Emergenze Sanitarie dell’Oms. “Ancora una volta, all’interno dei numeri in calo che vediamo, si nascondono enormi problemi che stanno emergendo in tutti i Paesi”.
LE CONSEGUENZE SOCIALI DEL LONG COVID
Gli esperti affermano che tale condizione è preoccupante per la salute pubblica dato l’impatto sostanziale che ha sulla società, dall’aumento dei costi sanitari alle perdite economiche e di produttività.
Secondo l’Oms tra il 10% e il 20% dei pazienti che ha avuto il Covid ha sperimentato sintomi persistenti – tra cui stanchezza continua, mancanza di respiro, nebbia cerebrale (brain fog) e depressione – per mesi dopo l’infezione.
Il 90% dei pazienti con long Covid, scrive News Medical, riferisce ancora sintomi dopo nove mesi dall’inizio e il 67% di loro non sono stati in grado di riprendere a lavorare come prima.
A dimostrazione dell’urgenza e della nuova battaglia da vincere, anche The Lancet, ad agosto, ha descritto il long Covid come “una sfida medica moderna di primo ordine”.