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Acrilammide

Acrilammide, quando i cibi (troppo) abbrustoliti fanno male

Nei prossimi mesi la Commissione europea dovrà dare nuove disposizioni sull’acrilammide, una sostanza che si forma quando la temperatura di cottura supera i 120°. Ecco quali cibi sono più a rischio, gli ultimi studi e cosa significa per l’industria alimentare

 

Patatine fritte croccanti, pane tostato, ma anche biscotti, merendine e perfino caffè. Sono tra i piaceri incriminati per una sostanza che si forma quando la temperatura di cottura supera i 120°. Si tratta dell’acrilammide, su cui l’Unione europea dovrà pronunciarsi quest’anno elaborando nuove disposizioni circa i livelli da non superare.

COS’È L’ACRILAMMIDE

L’acrilammide, spiega l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), è una sostanza chimica che si forma naturalmente negli alimenti amidacei durante la cottura ad alte temperature (frittura, cottura al forno e alla griglia) e anche durante le lavorazioni industriali a temperature di oltre 120° con scarsa umidità.

LA REAZIONE DI MAILLARD

Il processo chimico che provoca tutto ciò, precisa l’Efsa, è noto come “reazione di Maillard”, quella che conferisce al cibo quel tipico aspetto e sapore di “abbrustolito” che lo rende più gustoso.

IN QUALI PRODOTTI SI PUÒ FORMARE

La presenza di acrilammide è stata riscontrata in prodotti come patatine, patate fritte, pane, biscotti e caffè. La sua scoperta negli alimenti risale all’aprile 2002, ma è probabile che sia stato presente nei cibi sin dall’invenzione della cottura.

Oltre che negli alimenti, l’acrilammide è presente anche nel fumo di tabacco.

COSA DICE L’EFSA

L’Efsa ha pubblicato nel 2015 la sua prima valutazione completa dei rischi derivanti dalla presenza di acrilammide negli alimenti, sostenendo che questa sostanza potenzialmente aumenta il rischio di sviluppare il cancro nei consumatori di tutte le fasce d’età, ma è soprattutto ai più piccoli che occorre dare attenzione perché sono i più esposti.

LE DISPOSIZIONI EUROPEE

A seguito di una raccomandazione della Commissione europea del 2007, gli Stati membri sono stati invitati a monitorare i livelli di acrilammide per un periodo di tre anni e a presentare all’Efsa i dati ottenuti. Nel 2010 la Commissione ha raccomandato loro di proseguire il monitoraggio con cadenza annuale. Dal 2011 ha poi consigliato l’esecuzione di indagini nei casi in cui gli alimenti presentino livelli di acrilammide superiori ai valori indicativi ammessi.

COSA DICONO GLI STUDI

Le conoscenze attuali hanno inizio con il primo studio del 2002 dell’Università di Stoccolma in cui è stato appunto scoperto l’acrilammide.

Tuttavia, a distanza di quasi 30 anni dalla sua classificazione come ‘probabile cancerogeno per l’uomo’, “non ci sono ancora prove certe della sua cancerogenicità nell’essere umano”, ha detto Fatima Saleh, professoressa di scienze mediche di laboratorio presso l’Università Araba di Beirut.

Anche secondo l’ultimo aggiornamento dell’Efsa, finora gli studi condotti su esseri umani hanno fornito prove limitate e discordanti, tuttavia, le ricerche sugli animali da laboratorio hanno dimostrato che questa sostanza aumenta enormemente la probabilità di sviluppare mutazioni geniche e tumori in vari organi.

COSA PUÒ PROVOCARE ALL’ORGANISMO

Tra le possibili spiegazioni, si legge su Bbc, vi è quella che l’acrilammide attacchi le proteine strutturali delle cellule nervose o che possa inibire i sistemi antinfiammatori che proteggono le cellule nervose dai danni. Negli studi sugli animali è emerso infatti che tra i possibili rischi per la salute ci sono quelli di sviluppare malattie neurodegenerative, come la demenza.

E secondo Federica Laguzzi, professoressa di epidemiologia cardiovascolare e nutrizionale presso l’Istituto di Medicina Ambientale del Karolinska Institutet in Svezia, potrebbe essere associata a disturbi del neurosviluppo nei bambini. Laguzzi ha infatti osservato che esiste una correlazione tra donne che in gravidanza hanno assunto maggiori quantità di acrilammide e bambini nati con un peso, una lunghezza e una circonferenza cranica minore.

È stato inoltre dimostrato che i suoi effetti tossici sono cumulativi, il che significa che il consumo di una piccola quantità di acrilammide per un lungo periodo di tempo potrebbe aumentare il rischio che esso influisca sugli organi a lungo termine.

I LIMITI CONSENTITI

Una delle maggiori difficoltà per la Commissione Ue prima e per i consumatori poi sarà stabilire i limiti di quantità consentiti perché trattandosi di una sostanza che si forma in seguito a una reazione è molto complesso misurarla con precisione.

Essendo quindi di fatto impossibile eliminare completamente l’acrilammide dalla nostra dieta, il consiglio degli esperti è di prediligere altri tipi di cottura, per esempio far bollire o cuocere a vapore gli alimenti, ma anche non superare un certo livello di doratura.

LE CONSEGUENZE PER L’INDUSTRIA ALIMENTARE

“L’Ue sta per fissare i livelli massimi ammissibili di acrilammide negli alimenti e questo potrebbe avere serie ripercussioni sulla catena di approvvigionamento alimentare”, ha detto alla Bbc Nigel Halford, che con la sua ricerca sta aiutando gli agricoltori a ridurre il potenziale di formazione di acrilammide nei prodotti a base di grano.

Infatti, sebbene l’acrilammide non si trovi nelle piante, l’asparagina, che è la sostanza che si trasforma in acrilammide quando viene riscaldata, sì e su questa è possibile intervenire.

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