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Vi spiego le mosse di Trump in Asia e in America latina. Parla il prof. Del Pero

Che cosa cambierà dopo il viaggio di Trump in Asia e quali sono le vere mire del presidente americano in Venezuela. Conversazione con Mario Del Pero, docente di Storia internazionale all’Università SciencesPo di Parigi.

 

A cosa è servito il viaggio in Asia di Trump? Quali ne erano gli obiettivi? Com’è andato il vertice Trump-Xi? Si è risolto il contenzioso tra le due superpotenze? A queste e ad altre domande di Start Magazine risponde Mario Del Pero, docente di Storia internazionale all’Università SciencesPo di Parigi ed analista esperto di Stati Uniti

Com’è andato il viaggio di Trump in Asia secondo lei?

Com’è andato il viaggio ce lo dirà solo il tempo, anche se in teoria sembra essere andato bene. Però poi accordi, impegni, promesse, sono tutti tracciati nella sabbia nel senso che sappiamo bene che con Trump, quanto a volubilità, basti pochissimo per cambiare le cose.

Semplificando all’osso, quel viaggio a cosa serviva?

Lo scopo principale del viaggio in Asia per Trump era trovare un qualche compromesso con la Cina su alcune questioni nodali per una parte come per l’altra. Il mercato americano rimane fondamentale per la Cina e sappiamo come sia di molto diminuito l’attivo cinese con gli Usa un po’ a causa dei dazi un po’ anche perché la Cina trasferisce stadi intermedi di produzione che iniziano in Cina e transitano in paesi terzi a partire dal Vietnam, diventando così invisibili a livello di dati.

E per gli Usa? Quali erano gli obiettivi?

In ballo c’era la questione delle terre rare, che come sappiamo sono risorse minerarie critiche fondamentali per l’industria tecnologica degli Stati Uniti. E poi c’era il tema dell’acquisto da parte della Cina di alcuni prodotti come la soia. In ambedue le circostanze si sono raggiunti una serie di compromessi che sono abbastanza precari e sappiamo benissimo che possono essere modificati domani da una parte come dall’altra: rimarrà quindi una grande discrezionalità fino a quando non sarà siglato un trattato bilaterale onnicomprensivo.

Altri aspetti del viaggio di Trump da sottolineare?

Quel viaggio serviva a Trump per fare con gli alleati asiatici un po’ quello che ha fatto che con gli alleati europei, legarli con accordi bilaterali, ricordando che i legami con gli alleati asiatici dal punto di vista della sicurezza implicano una protezione americana; si pensi al caso del Giappone, della Corea del Sud e delle Filippine. Qui l’obiettivo era far pagare a questi alleati di più per la loro difesa, riducendo gli oneri che sono in capo agli Stati Uniti per questa protezione.

E in materia economica?

L’obiettivo era far investire gli alleati negli Stati Uniti somme massicce in modo da puntellare il debito americano, anche perché la Cina sta liquidando asset in dollari in maniera anche abbastanza rapida perché, come si sa, la Cina non vuole più essere il primo finanziatore esterno del debito Usa. Adesso bisogna che qualcun altro se ne faccia carico. Ma c’era anche un’altra questione in ballo.

Quale?

C’era una richiesta da avanzare a questi Paesi, nel senso di spingerli a impegnarsi di più a disaccoppiare le loro economie da quella cinese, con l’obiettivo di ridurre peso e presenza della Cina nelle catene globali di valore nell’economia altamente integrata dell’Asia. Da questo punto di vista agli alleati è stato chiesto di fare a loro parte, anche perché questi Paesi negli ultimi trent’anni hanno maturato una forma di legame economico molto stretto con la Cina in termini di investimenti diretti e di volumi di scambio commerciale.

Visto che con la Cina si sono raggiunti solo accordi minimali e precari, come proseguirà la guerra commerciale?

Sappiamo che c’è un disaccoppiamento in atto tra Cina e Stati Uniti; i volumi di scambi commerciali si contraggono insieme agli investimenti diretti esteri da una parte come dall’altra. Poi sappiamo che sta calando il numero degli studenti cinesi che vanno negli Stati Uniti a studiare, e stanno chiudendo gli istituti che dovevano fungere da centri di promozione della diplomazia culturale cinese.

Perché sta succedendo tutto questo?

Tutto questo sta avvenendo soprattutto perché gli Stati Uniti ritengono che da questa profonda interdipendenza tra lei due parti la favorita sia quasi unilateralmente la Cina. Poi in realtà questo vertice tra Trump e Xi ha rivelato è che ci sono aree di interdipendenza che non puoi tagliare di netto, che non puoi sciogliere, visto che per il momento la Cina ha un controllo quasi monopolistico su risorse minerarie e critiche di cui gli Stati Uniti hanno bisogno e data la centralità di queste risorse in tanti prodotti e beni ad alto contenuto tecnologico. D’altra parte la Cina continua ad avere bisogno del mercato statunitense o degli altri mercati, quindi il vertice era funzionale a cercare di gestire con attenzione il conflitto evitando escalation o ricatti su queste interdipendenze che invece non possono essere risolte.

Cambiamo versante e parliamo dell’America Latina. Secondo lei Trump vuole rovesciare Maduro?

Penso proprio di sì. L’obiettivo degli Usa è quello di un cambiamento, anzi di un abbattimento del regime di Maduro Per questo l’America sta esercitando una pressione estrema in termini di dispiegamento di forze militari e di azioni contro le imbarcazioni che è anche possibile che portino droga. Del resto, far filtrare la notizia che la CIA è attiva in Venezuela serve chiaramente a destabilizzare il regime, a mettergli paura oltre che a galvanizzare le forze di opposizione. L’obiettivo di far cadere Maduro mi sembra difficilmente discutibile.

Cosa c’è dietro l’annuncio di Trump di voler riprendere immediatamente i test nucleari?

Credo sia tutta una questione di postura più che di sostanza. La postura è quella di un uomo come Trump che vuole incarnare e proiettare la forza unica impareggiabile dell’America. La sostanza invece è che siamo dentro una crisi di tutte le forme di governance multilaterale, incluse quelle sulla non proliferazione nucleare, in favore del ritorno a logiche di politiche di potenza quasi neo imperiali.

Non si mira in particolare a qualche Paese? Alla Russia? Alla Cina?

In questo caso gli Usa ritengono che la Cina abbia investito molto nell’ammodernare il proprio potenziale nucleare e che abbia sostanzialmente abbandonato la propria dottrina di sufficienza minima, in cui ci si accontentava di avere un arsenale nucleare ridotto con funzione esclusivamente deterrente. Ora Pechino punta direttamente a competere con i mega arsenali di Russia e Stati Uniti. Di fronte a tali minacce, Trump è giunto alla conclusione che l’arsenale nucleare degli Usa vada aggiornato e ammodernato, accompagnando tale azione con un mutamento della postura generale.

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