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Vi spiego le crepe dietro la scintillante sintonia tra Trump e bin Salman. Parla Bianco (Ecfr)

L’incontro tra Trump e il principe saudita bin Salman è stato raccontato dai media come un grande successo. Ma dietro di esso si scorgono delle ombre. L’opinione di Cinzia Bianco, Gulf research fellow presso l’European Council On Foreign Relations


I media globali ce ne hanno parlato facendo grande uso del grassetto, riferendoci di un trionfo diplomatico per Donald Trump, che ha incassato per il suo Paese investimenti per ben un trilione di dollari, ma anche di un successo per il principe saudita Mohammed bin Salman (MBS), che porta a casa affari dalla grande rilevanza strategica per il Regno come l’acquisizione dei leggendari jet F-35 e accordi per la cooperazione tecnologica sul nucleare civile e l’intelligenza artificiale. Ma non è tutto oro quello che luce, dice a Start Magazine una ricercatrice che studia da sempre e da vicino i Paesi del Golfo come Cinzia Bianco, Gulf research fellow presso l’European Council On Foreign Relations. A lei dunque chiediamo di fare un bilancio di questo storico incontro tra Trump e MBS al di là della retorica ufficiale.

Un trilione di dollari di investimenti. Qual è il calcolo strategico dell’Arabia Saudita dietro simili stanziamenti?

Innanzitutto bisogna vedere quanto di questo trilione di dollari di investimenti si materializzerà. Molto di essi consiste in una spesa militare di oltre 150 miliardi, e poi vengono conteggiate anche le spese degli investimenti nelle joint-venture che i sauditi hanno stretto per esempio sull’l’intelligenza artificiale; ne sono stati annunciati tantissimi di accordi della massima rilevanza lo scorso martedì a Washington. Però starei attenta sull’esultanza.

In che senso?

Quel trilione di dollari di cui si parlava è un po’ una figura simbolica che unisce tante cose molte delle quali non si verificheranno neanche entro l’amministrazione Trump perché sono progetti di lunghissima data: però sicuramente è un qualcosa che vuole indicare un valore da parte saudita della alleanza con gli Stati Uniti. Sicuramente infatti l’approccio da parte saudita voleva anche solleticare l’ego di Trump e colpirlo dove può fargli più piacere, per poter essere in grado di dimostrare che la partnership con l’Arabia Saudita porta tante risorse in America, che poi stiamo parlando della piattaforma su cui il tycoon ha vinto le elezioni.

Si è ristabilito completamente il legame strategico tra i due Paesi che scricchiolava sotto Biden?

Sicuramente il legame tra i due Paesi si è ristabilito in maniera strategica, però c’è da dire che comunque i sauditi hanno chiara l’idea che Trump sia inaffidabile, anche se pur sempre preferibile a Biden sotto la cui presidenza le relazioni avevano raggiunto il punto più basso. Non dobbiamo comunque dimenticare che i primi attacchi iraniani all’Arabia Saudita contro i pozzi petroliferi del Regno rimasti senza reazione americana sono successi nel 2019, quindi sotto lo stesso Trump.

Restano dunque tutta una serie di interrogativi.

Esattamente. Tuttavia c’è da dire che i Paesi del Golfo, soprattutto i sauditi, pensano di essere in grado di gestire Trump e di capire la sua logica transazionale e di gestirla e quindi di farne risultare degli accordi che poi possano sopravvivere allo stesso Trump. Penso in particolare all’accordo sul nucleare civile e al trattato di difesa che probabilmente si firmeranno entrambi alla fine dell’amministrazione Trump, perché quelli che sono stati sottoscritti adesso restano per il momento allo stadio di accordi preliminari. Lo stesso dicasi per gli accordi sull’accesso ai chip di Nvidia, e quindi tutta la collaborazione sull’intelligenza artificiale che sono temi che andranno senz’altro oltre Trump.

Nel pacchetto ci sono anche gli F-35, ma già si parla di passare ai sauditi versioni meno sofisticate di quelli in dotazione a Israele. Ma soprattutto, riuscirà l’operazione a passare il vaglio del Congresso?

Gli F-35 passeranno al vaglio del Congresso solo quando ci sarà un concreto passaggio sulla normalizzazione con Israele proprio perché Israele solleverà delle riserve su questo accordo.  Sicuramente quelli che Riyad riceverà non rappresenteranno la stessa versione dei jet in dotazione a Israele. In ogni caso, come si diceva prima, dal momento in cui il Presidente autorizzerà la vendita e quei jet voleranno nei cieli dell’Arabia Saudita passeranno anni. Ricordo la lezione degli Emirati Arabi Uniti, cui gli F-35 erano stati promessi fin dal 2020 e che ancora non ce li hanno.

Non si sono fatti passi avanti sugli Accordi di Abramo per ora. Quali sono le pretese di Riyad per firmarli?

Più che di pretese di Riyad parlerei di premesse, perché qui si tratta di far accettare alla popolazione saudita qualcosa che era un tabu fino a pochi anni fa.

Ossia?

Si tratta niente meno che far accettare all’opinione pubblica saudita la normalizzazione dei rapporti con Israele. Si registra in particolare l’enorme problema di far accettare che il volto di questa normalizzazione coincida con quello di Netanyahu che è considerato l’emblema della distruzione del popolo palestinese e di cose che hanno fatto inorridire e infiammare l’intera opinione pubblica arabo-islamica.

Netanyahu figura polarizzante insomma.

Già, e infatti ritengo impossibile che per ora l’Arabia Saudita accetti la normalizzazione dei rapporti con Israele, almeno fino a quando da quel Paese non giungano segnali concreti a cui fare riferimento per dire che si è cambiato corso e potenzialmente che ci sia anche un Israele guidato da qualcuno di diverso da Netanyahu. Del resto gli israeliani andranno al voto il prossimo anno, e non è affatto scontato che Netanyahu vinca le elezioni, quindi il ragionamento che fanno i sauditi è che non è il caso di farsi adesso la photo-opportunity con Netanyahu e che è più opportuno prendersi del tempo in attesa che Israele si doti una nuova dirigenza.

Trump ha coperto del tutto MBS sul caso Khashoggi, si è anche arrabbiato con i giornalisti che in conferenza stampa hanno posto la domanda. Siamo di fronte a un puro caso di Realpolitik o è vera sintonia tra i due leader?

Sul caso di Khashoggi siamo senz’altro di fronte a un caso di pura Realpolitik. Sicuramente c’è pure una sintonia tra i due leader, ma la noncuranza di Trump dimostra che per lui ci sono cose che contano molto di più dei diritti umani.

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