Il vicepresidente degli Stati Uniti, anche in vista del suo viaggio in Europa, rispolvera la visione di Charles de Gaulle sull’autonomia strategica europea e avverte: Washington non garantirà per sempre la difesa del continente.
COSA PENSA VANCE DELL’EUROPA
JD Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, ha dichiarato in un’intervista al portale britannico UnHerd di ammirare la figura di Charles de Gaulle, lo storico leader francese di guerra e dopoguerra. Per Vance, il generale aveva capito una verità ancora attuale: l’Europa non dovrebbe dipendere in modo permanente dalla protezione militare americana.
«De Gaulle amava gli Stati Uniti», ha detto Vance. «Ma riconosceva – come riconosco anch’io – che non è nell’interesse dell’Europa, né in quello dell’America, che l’Europa resti un vassallo della sicurezza statunitense».
Le dichiarazioni di Vance si inseriscono in un contesto di crescente tensione transatlantica. L’amministrazione di Donald Trump ha più volte criticato i partner europei per la loro dipendenza dalla difesa USA, insinuando che Washington potrebbe non intervenire automaticamente in difesa dei membri NATO che non investano adeguatamente nella propria sicurezza.
Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha ribadito che la presenza militare americana in Europa «non è garantita per sempre». Trump, dal canto suo, ha chiesto agli alleati NATO di aumentare la spesa militare al 5% del PIL, ben oltre l’attuale obiettivo del 2%, che sarà discusso nel prossimo vertice NATO all’Aja. Una richiesta insostenibile per alcuni Paesi europei, Italia in testa, dove il Ministro della Difesa sta spingendo fortemente per un obiettivo indicato al 3,5%, venendo però al momento respinto con danni dal Ministro dell’Economia Giorgetti.
IL PROBLEMA DELA DIFESA EUROPEA
Per Vance, il problema è strutturale. Con l’eccezione di Francia, Regno Unito e Polonia, «la maggior parte dei Paesi europei non ha forze armate in grado di garantire una difesa credibile». Una situazione che, secondo il vicepresidente, ha radici profonde: «Per tutta la mia vita, l’intera infrastruttura di sicurezza europea è stata sovvenzionata dagli Stati Uniti d’America». Da notare come Vance non nomini l’Italia nella lista. Sarà certamente un tema di discussione per il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel meeting previsto a Washington con Trump il 17 aprile, e proprio con Vance a Roma il 18 aprile.
Richiamandosi alla crisi del Canale di Suez degli anni ’50, Vance ha lodato il coraggio politico di francesi e britannici, che si scontrarono con l’amministrazione Eisenhower, e cui molti fanno risalire la visione strategica di de Gaulle, che portò la Francia a sviluppare un sistema militare autonomo, incluso un deterrente nucleare.
VANCE RIPRENDE DE GAULLE?
La diffidenza di Charles de Gaulle nei confronti degli Stati Uniti non nacque però con la crisi di Suez, ma affondava le radici già negli anni Quaranta. Durante la Seconda Guerra Mondiale, de Gaulle, a capo della Francia Libera, visse rapporti tesi con il presidente Franklin Delano Roosevelt. Quest’ultimo nutriva una scarsa fiducia nel generale francese, ritenendolo poco rappresentativo del popolo e troppo autoritario. Preferiva sostenere figure alternative, come il generale Henri Giraud, considerate più malleabili e concilianti.
La riluttanza americana a riconoscere de Gaulle come unico leader legittimo della Francia e il sostegno iniziale al regime di Vichy alimentarono in lui un profondo senso di tradimento. Questo sentimento fu aggravato dal mancato coinvolgimento della Francia nelle decisioni cruciali dell’alleanza, nonostante il contributo attivo dei francesi nella guerra contro il nazismo.
A peggiorare ulteriormente i rapporti contribuì la questione nucleare. Negli anni ’40, la Francia aveva svolto un ruolo pionieristico nella ricerca sull’energia atomica, in collaborazione con il Belgio e inizialmente con il Regno Unito. Tuttavia, fu esclusa dai principali accordi bilaterali tra Stati Uniti e Regno Unito, come il Quebec Agreement del 1943, che sancì la cooperazione nucleare anglo-americana. Dopo la guerra, gli Stati Uniti interruppero la condivisione di tecnologie anche con Londra, e rifiutarono qualsiasi trasferimento di conoscenze verso Parigi e Bruxelles, nonostante gli accordi e gli impegni informali precedenti.
Washington non riconobbe nemmeno i brevetti scientifici francesi relativi alla fissione nucleare, non offrì compensazioni per l’acqua pesante acquistata dalla Francia e utilizzata dagli americani, e di fatto isolò la Francia dallo sviluppo dell’arma atomica. Tutto ciò spinse de Gaulle a ritenere fondamentale il raggiungimento di un’autonomia militare e strategica nazionale.
Queste frizioni storiche alimentarono il desiderio di de Gaulle di costruire una difesa autonoma, svincolata dalle logiche e dalle dipendenze imposte da Washington. Negli anni successivi, questa visione si concretizzò con il ritiro della Francia dal comando militare integrato della NATO e lo sviluppo di una propria forza nucleare indipendente.
De Gaulle è considerato da molti il padre fondatore della dottrina dell’“autonomia strategica europea”, oggi ripresa dal presidente Emmanuel Macron. Il generale francese si batté per un’Europa indipendente, capace di prendere decisioni militari senza subordinarsi agli interessi americani.
Vance sembra condividere quella linea, sottolineando che «un’Europa più indipendente è positiva per gli Stati Uniti». Le sue parole segnano un raro momento di convergenza tra la destra populista americana e la visione geopolitica francese.
LA CRITICA ALL’INTERVENTISMO IN IRAQ
Il vicepresidente ha anche criticato la posizione europea durante la guerra in Iraq del 2003, definendola un «disastro strategico». Sebbene alcuni Paesi, come Francia e Germania, si opposero all’intervento americano, Vance ha suggerito che «avrebbero potuto fare di più».
«Molti europei avevano ragione ad avere dubbi sulla guerra in Iraq», ha detto. «Ma se l’Europa fosse stata più indipendente e più disposta a farsi valere, forse avrebbe potuto evitarla». Di fatto quello di Vance è però un attacco anche a tutte le azioni portate avanti dai presidenti USA repubblicani, specialmente Bush padre e figlio. Nulla di nuovo forse, visto anche che lo storico establishment repubblicano – dall’ex VP Dick Cheney ai maggiori intellettuali di area come Bill Kristol – si è espresso pubblicamente contro Trump durante la campagna elettorale dello scorso anno.
“AMO IL POPOLO EUROPEO”, DICE VANCE
Nonostante le critiche, Vance ha cercato di bilanciare il messaggio con dichiarazioni affettuose verso il continente. «Amo il popolo europeo. La cultura americana è figlia della cultura europea», ha affermato, riferendosi alle radici filosofiche e migratorie che hanno plasmato gli Stati Uniti.
Tuttavia, ha ribadito con forza: «I leader europei hanno radicalmente sottoinvestito nella sicurezza. E questo deve cambiare.»
LO SCONTRO CON ZELENSKY
L’intervista non è priva di polemiche. Vance ha risposto alle accuse del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy, che in un’intervista a 60 Minutes ha accusato il vicepresidente USA di «giustificare» l’invasione russa e di cadere nella propaganda di Mosca.
La replica di Vance è stata dura: «È assurdo che Zelenskyy accusi il governo americano – che sta letteralmente tenendo in piedi il suo governo e il suo sforzo bellico – di stare dalla parte dei russi. Ma alla fine Vance non risponde in relazione alle accuse – fattuali – di Zelenskyy. E a quanto pare l’acceso confronto avviato alla Casa Bianca dai due è ancora in corso.